di DOMENICO PALMIOTTI
L’Ilva? Nessuno la vuole, a patto che non finisca dnel portafogli di un gruppo concorrente. In fondo, lo stabilimento di Taranto sarà più barcollante del vecchio muro di Berlino, ma rimane pur sempre una fabbrica d’acciaio, dove per acciaio non s’intende solo il prodotto che parte per mezzo mondo. Sia pure ammaccata e piena di rughe, l’Ilva conserva ancora un certo fascino, figlio di una stagione gloriosa e drammatica nello stesso tempo, figlio di una sfida (l’industrializzazione dall’alto) che ha appassionato le intelligenze meridionalistiche più sveglie della Prima Repubblica. Poi, forse, non se ne farà nulla sul piano delle acquisizioni, da parte dei privati, perché nessuno può garantire franchigie e tempo sereno nella materia giudiziaria che riguarda pregresso e vecchia proprietà.
Ma se lo Stato decidesse di scucire un po’ di euro per aiutare qualche capitano coraggioso, anche le dinastie siderurgiche più caute verso l’avventura tarantina potrebbero cambiare opinione e obiettivi. Senza la «protezione» pubblica modello Alitalia, nessun imprenditore privato, forse, accetterebbe una sfida da infarto, con tutti i rischi che una dura prova da sforzo comporta.
In ogni caso, i giochi per l'Ilva non si chiudono domani alle 18 con la presentazione delle manifestazioni di interesse. Anzi, semmai si aprono proprio da domani. Sì, perchè presentare una candidatura non vuol dire nulla: non impegna chi la presenta e nemmeno chi la riceve. Chi l'avanza, infatti, può sempre defilarsi se, strada facendo, dovesse accorgersi che l'impresa è rischiosa oltrechè onerosa.
Il destinatario, invece, in qualunque momento della trattativa può metterla all'angolo se capirà che non ci sono più gli spazi per proseguire. Inoltre, con un'integrazione all'avviso lanciato il 5 gennaio, i commissari dell'Ilva hanno stabilito che possono avanzare la candidatura anche soggetti di cordate da costituire alle quali possono aggregarsi ulteriori soggetti. Una porta aperta a sviluppi futuri. Come dire: chi domani, all'apertura delle buste, risulterà assente, potrà presentarsi benissimo dopodomani o in seguito.
Ieri si è appreso che Marcegaglia depositerà oggi la sua manifestazione di interesse. Una partecipazione prevista quella del gruppo di Mantova perchè è almeno un anno che Marcegaglia si avvicina e si allontana dall'Ilva. Si è avvicinato con la multinazionale Arcelor Mittal tra fine 2014 e 2015 quando il commissario Gnudi, da pochi mesi all'Ilva in sostituzione di Bondi, pensava di poter vendere l'azienda in tempi brevi. Si è poi allontanato nella seconda metà del 2015 quando Antonio Marcegaglia, ad del gruppo e fratello di Emma, già presidente di Confindustria e ora dell'Eni, disse che l'Ilva non era più nel loro radar (leggi sotto la lente aziendale), e infine si è riavvicinato adesso, col Governo che ha deciso di tornare a vendere l'Ilva e il Parlamento ha anche approvato una legge.
Non sappiamo se l'Ilva sia davvero l'oggetto del desiderio di Marcegaglia e degli altri che dicono di essere interessati. Il punto è che il rilancio dell'Ilva richiede tanti ma tanti soldi (3 miliardi di euro stimava appena qualche giorno fa, a Bari, il leader della Fiom, Landini) e gli industriali del settore se la passano male (basta vedere in che modo disastroso Arcelor Mittal, che è un big mondiale, ha chiuso i conti del 2015: 8 miliardi di dollari di perdita netta).
Lo sa bene il Governo che l'aspetto finanziario è un punto critico e che molti acciaieri sono economicamente a terra, altrimenti, a parte il ruolo di garanzia pubblica, non avrebbe tirato nell'operazione Cassa Depositi e Prestiti, che ha i soldi e può metterli seppure con una partecipazione di minoranza. A ciò si aggiunga che i cinesi, con il loro eccesso di produzione, stanno mettendo al tappeto tutti gli altri operatori, a partire da quell'Europa dove c'è già un esubero di capacità produttiva. Non è un caso che il 15 febbraio, a Bruxelles, si radunino tutti, italiani compresi, per dire alla Ue di fermare lo smottamento di uno dei più consolidati apparati industriali del vecchio Continente.
In sostanza, quindi, chi si avvicina all'Ilva non solo deve sobbarcarsi ad un'operazione complicata e piena di incertezze - con i Riva e gli Amenduni, ancora formali proprietari dell'azienda, sul piede di guerra come dimostrano i ricorsi contro la vendita già presentati - ma deve anche misurarsi con un mercato che fa tutt'altro che faville. E allora, più che interessarci ai nomi in corsa, da domani in poi interessiamoci invece su quali progetti sono in campo, sulle garanzie per Taranto e su quali risorse, vere e non virtuali, metterà chi verrà a fine giugno. Perchè, gira e rigira, il timore alla fine è sempre quello: che lo Stato, vale a dire noi tutti, mette i soldi e il privato o si guarda bene dal farlo o cerca di mettere il meno possibile.
Non diremo adesso che si va incontro ad una svendita dell'Ilva perchè siamo appena agli inizi di un percorso, e prima di tirare delle conclusioni pensiamo sia opportuno aspettare, così come è indubbio che tutta una serie di condizioni influirà nelle valutazioni degli acquirenti e quindi del prezzo. Ma se è giusto che lo Stato, dopo aver promulgato tante leggi sull'Ilva, continui a fare ancora la sua parte, è altrettanto giusto, non appena il quadro si sarà chiarito, chiedere al privato o ai privati cosa si vuol fare. Le priorità di Taranto restano immutate: tutelare insieme, e con la stessa attenzione, la salute e il lavoro dei cittadini e degli operai. Può sembrare scontato e ripetitivo, ma è bene ribadirlo. Perchè questo, per Taranto, rimane il metro di valutazione.