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Puglia, quando arrivò il colera nel 1973 il Nord ci sbeffeggiò

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Puglia, quando arrivò il colera nel 1973 il Nord ci sbeffeggiò

Senza i social poche «fake news». E nessuno contro l’Africa

Martedì 25 Febbraio 2020, 20:06

La psicosi generata dalla diffusione del coronavirus e soprattutto i provvedimenti amministrativi di chiusura che, al Nord e in diverse regioni, stanno riguardando molti luoghi pubblici, risvegliano nella memoria di chi li ha vissuti il ricordo dell’epidemia di colera che nel 1973, insieme con Napoli, mise a dura prova anche Bari. Era all’incirca la fine di agosto quando si verificarono i primi casi in città e per molti si trattò di una vera e propria doccia fredda: l’ultima epidemia di colera a Bari risaliva infatti al 1837, mentre la città si era «salvata» da una nuova ondata che aveva riguardato l’intero meridione nel 1873.

In altre parole, il colera sembrava un male confinato all’Ottocento e sopravviveva nella memoria degli anziani o, tutt’al più, in quella dei lettori di romanzi di ambientazione esotica. Questo spiega perché i primi casi colsero alla sprovvista le strutture sanitarie e le farmacie, prive dei farmaci necessari per la prevenzione e la cura della malattia.

Ma - e questo è decisamente peggio - la diffusione del vibrione era tradizionalmente associata alle cattive condizioni igieniche e questo favorì la circolazione di notizie non sempre veritiere diffuse soprattutto dagli inviati di certa stampa del Nord che, in particolare nel descrivere le condizioni di vita di Bari vecchia, calcarono sin troppo la mano, raccontando di miasmi insopportabili e soprattutto di topi che, al calar del sole, diventavano i padroni incontrastati dei vicoli e persino delle abitazioni...

Esagerazioni a parte, l’amministrazione comunale - all’epoca guidata dal democristiano Nicola Vernola - intervenne prontamente disponendo la chiusura di tutti i locali pubblici, cosicché, in quel caldo scampolo d’estate, i baresi dovettero rassegnarsi a trascorrere le serate in casa, dividendosi tra il televisore (con la sola scelta tra Raiuno e Raidue) o rispolverando con grande anticipo sul Natale i giochi di carte e di società. Fuori casa nessuno avrebbe mai rischiato di bere persino un semplice bicchiere d’acqua, meno che mai se di rubinetto.

Cinema, teatri, ristoranti erano tutti rigorosamente chiusi e lo stesso Vernola, anni dopo, ricordò divertito di essere stato chiamato da un allarmatissimo Aldo Moro pochi giorni dopo lo scoppio dell’epidemia: i due avevano pranzato assieme la settimana precedente e Vernola, da buon barese, aveva consumato delle cozze crude. Di qui la preoccupazione dello statista salentino che il primo cittadino potesse aver contratto la malattia.

Ovviamente, la cautela non si fermò ai luoghi di svago, ma riguardò anche l’inaugurazione della Fiera del Levante e persino le scuole, tant’è che quell’anno 1973-74 s’iniziò con oltre un mese di ritardo. E furono forse gli studenti gli unici che, con una punta di incoscienza, guardarono al vibrione con una certa simpatia. I più fortunati di loro ripararono con le madri nelle case estive, considerate più «sicure» perché lontane dal focolaio d’infezione. La situazione cominciò a normalizzarsi con l’arrivo del vaccino in grande quantità, che coincise anche con un lento ritorno alla normalità. L’emergenza era durata all’incirca un paio di mesi, ma soprattutto - sebbene il colera fosse un male curabile con rimedi noti e non un virus ancora in attesa di antidoti - era stata affrontata senza psicosi. Merito di una ferma ed efficace gestione sanitaria - si distinse, fra i tanti, il prof. Nicola Simonetti - e amministrativa, ma soprattutto anche di una più «sana» informazione.

Quarantasette anni fa, internet era pura fantascienza e in loco le notizie o le raccomandazioni circolavano solo sulla carta stampata, in radio e in televisione, ma sempre dopo essere state accuratamente valutate e verificate. In altre parole, l’epoca delle fake news era di là da venire e il mondo della politica non si azzardava minimamente a strumentalizzare le emergenze per attaccare i propri avversari.

Un ultimo aspetto: fermo restando che la città di allora era forse meno pulita di quella di oggi, alla fine il focolaio dell’infezione venne identificato a Napoli in una importante partita di cozze arrivata sui mercati del Sud dal Nordafrica; il caldo e una certa disinvoltura igienica delle zone colpite avevano fatto il resto. Ma nessuno se la prese col Nordafrica...

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