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Una fetta di Valbasento all’incrocio col futuro: Greenswitch in vendita

 
Gianluigi De Vito

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Gianluigi De Vito

 Una fetta di Valbasento all’incrocio col futuro: Greenswitch in vendita

Per l'acquisto si fanno avanti anche dal Sud America: un’operazione da dodici milioni di euro e da almeno trenta posti di lavoro

Domenica 24 Settembre 2023, 13:29

FERRANDINA (MATERA) - Il falso abete di Natale è appoggiato su una delle poche aiuole tirate a verde che apparecchiano l’ingresso ai piani alti degli uffici. Svetta, l’albero del buon augurio. E stride con la calura settembrina che morde la Val Basento come un agosto secco egiziano. Stride più di quanto non lo faccia l’angoscia di un rilancio economico, promesso con litanie decennali e con una liturgia politica di retoriche.

«Costa tanto smontare quest’albero. E, rimontarlo, è una fatica. Meglio lasciarlo qui. E poi speriamo che illumini definitivamente il nostro futuro, il Natale 2023», sorride Antonella Russo, 54 anni, amministratrice delegata di Greenswitch.

Ferrandina, silicon valley mancata, grembo enegertico di una Basilicata che vuole produrre di più e che ora spera di coniugare il sogno di Enrico Mattei col paradigma green.

L’avvenire è la porta, il passato è la chiave, diceva Victor Hugo. Il passato è fatto di un polo chimico che ha inquinato e devastato; l’avvenire è l’idrogeno non più prodotto da fonti fossili, ma dall’acqua, e quindi senza emissioni compromettenti per aria a salute. Insomma, un idrogeno così green da soddisfare gli sviluppisti della trasformazione energetica e togliere frecce all’arco degli ecologisti puri della decrescita.

La Basilicata della transizione ecologica ha bardato di idrogeno rinnovabile il puzzle Pnrr. Ha messo in moto il mosaico a inizio d’anno: 18 milioni per le imprese lucane che vogliono produrre idrogeno verde, «sicuro» perché non stoccato (una volta prodotto deve essere ceduto). E, a disposizione di ciascuna delle aziende, c’è ossigeno economico, a fondo perduto, fino a 10 milioni, dopo aver realizzato gli investimenti produttivi. A marzo scorso, ecco allora che la Valbasento da reindustrializzare apri le ali ad idrogeno. Ma siamo ancora fermi al bando; insomma, siamo ancora all’idrogeno di «carta». E rimaniamo nell’angoscia di vedere realizzata la bonifica dei tutto il parco industriale inquinato dalle produzioni degli anni Sessanta.

«Abbiamo partecipato al bando per dare maggiore visibilità al nostro sito industriale e per stimolare interessi verso la Valbasento», spiega Russo, laurea in chimica e anni di esperienza nel settore.

Greeswitch s’è aggiudicata (sulla carta) dieci milioni, dopo aver dimostrato non solo di non essere un appestatore del terzo millennio, ma di saper garantire più di ieri la salute di chi lavora e di chi vive attorno all’area. «Dal suo insediamento ad oggi abbiamo tempestivamente risposto alle richieste e alle prescrizioni ministeriali sotto il controllo dell’Arpab per monitorare una situazione di inquinamento pregresso presente nella falda e nell’aria interstiziale dei terreni. Il monitoraggio ha rivelato una situazione non contaminata. C’è di più. Allo stato dell’arte è in corso l’elaborazione dell’analisi di rischio, dopo aver terminato a luglio 2023 la quarta ed ultima campagna di determinazione dei gas interstiziali, iniziata ad ottobre 2022. Nessun operaio rischia di respirare sostanze nocive all’interno dello stabilimento, perché la salute dei lavoratori l’abbiamo tutelata con la campagna d’indagine invernale a novembre 2022 ed estiva a luglio scorso. Due campagne che hanno dimostrato l’assenza di cloruro di vinile nell’aria e nell’ambiente. C’è nella falda e negli interstizi dei terreni, come presumiamo che ci sia fuori dal nostro sito, ma non nell’aria e nella amvbiente di Greenswitch. Quanto agli altri inquinanti organici, l’Arpab ha chiesto verifiche. Risultato? O sono assenti o sono centinaia/migliaia di volte sotto soglia rispetto ai valori limite indicati dalle leggi. E tutto questo che dico è agli atti».

La verità è che l’idrogeno verde è solo uno degli asset dell’azienda che opera nella trasformazione di «materie prime seconde» (scarti di produzione o di materie derivanti da processi di riciclo). E questo asse futuro potrebbe passare in secondo piano piano rispetto alla partita che si sta giocando da anni e che sembra subire un’accelerazione proprio nelle ultime settimane.

Da Roma in giù, Greenswitch è tra le pochissime aziende chimiche che utilizza materie prime green trasformandole in prodotti di mercato. Da due anni, l’azienda è in vendita. Ma ora, stando ad alcune indiscrezioni, siamo a una stretta. Un’operazione da dodici milioni di euro o poco più e che se mandata in porto, irrobustirà la ripresa dello stabilimento e farà compiere un altro passo avanti all’intera Valbasento.

In pole position, per l’acquisizione, ci sono due gruppi industriali, attivi nel mercato degli olii: un gruppo italiano e uno paraguaiano. Ma non hanno lasciato il tavolo della trattative nemmeno le altre due realtà imprenditoriali che si sono fatte avanti. E cioè un gruppo emiliano e una holding argentina con insediamenti anche in Spagna.

«Speriamo di chiudere la vendita entro Natale», svela dal Canada, Pasquale Tremamunno (si fa chiamare Pat), 78 anni, industriale italocanadese originario di Ferrandina che a giugno del 2017 ha rilevato la fallita Mythen per farla risorgere, appunto, come Greenswitch. Una resurrezione tutta da raccontare e che sintetizza un salvataggio fatto più per «amore di patria» che per ingrossare le casse di famiglia.

La Mythen, della famiglia lombarda Falciola, era riuscita, grazie alla bioraffineria della Valbasento, a movimentare volumi che sfioravano i cento milioni di euro l’anno. Ma nel frattempo aveva contratto maree di debiti. E nel 2016, settantotto dipendenti, sessantotto dei quali lucani, sono rimasti a bocca asciutta. Un gruppo di loro, tra i quali Russo, è riuscito a trovare la sponda di Tremamunno, ex operaio della Valbasento che, giovanissimo, si è trasferito a Toronto, riuscendo a creare una delle più grosse realtà industriali di produzione d’impianti. Salvataggio storico, quello ad opera dall’italocanadese. Racconta: «Volevo fare qualcosa per la mia Ferrandina e la mia regione e non volevo che tante famiglie rimanessero senza prospettive. L’obiettivo della vendita non è realizzare un profitto, ma mettere in moto definitamente la macchina».

Dopo averla acquisita dal fallimento nel 2017 per due milioni, Tremamunno ci ha investito più di dieci milioni, evitando che gli impianti dismessi si trasformassero in un cimitero di ferraglia. Gli altri investimenti di revamping sono stati fatti per produrre da subito olio di soia epossidato, oli esterificati, glicerina e, una volta avuto il disco verde dalla Regione (l’Aia, Autorizzazione integrata ambientale), anche il biodiesel. Produzioni che, senza dimenticare l’idrogeno verde, proietterebbero l’azienda materana subito sul mercato internazionale degli olii.

Perché Tremamunno vuole passare la mano? Russo la fa semplice: «Perché serve selezionare un produttore industriale ad hoc, attivo sui mercati delel materie prime e non solo nella costruzione dell’impianto». Insomma lo zio d’America, Pat il costrutture di Toronto, è arrivato fin dove poteva. Occorre che si facciano avanti altri per diventare una realtà solida nella produzione dei biocarburanti. D’altra parte, ne trarrebbero beneficio anche i lavoratori.

«Sono le stesse aziende interessate ad acquisirci a imporre un certo numero di base del personale. Per mettere in marcia tutto ci vogliono almeno 40 dipendenti. Ora, alla Greenswitch siamo in dodici», dice Russo accarezzando la batterie di lucine dell’abete gigante. Finto. Ma di buon augurio.

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