Domenica 07 Settembre 2025 | 22:32

Viva i «Cittadini» e la libertà di scelta

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

costituzione italiana

Provo un acuto disagio intellettuale a pensare che si possa demolire una gran parte della nostra bella Costituzione

Domenica 28 Aprile 2024, 12:39

Al tempo dei tempi degli anni Cinquanta consideravo, ero un adolescente curioso, il comizio uno spettacolo. Quando, la televisione si occupava di politica con le «Tribune politiche» asciutte, formali, faceva dormire noi ragazzi ai quali sfuggiva il fascino di quel tono colloquiale che, oggi, rimpiango, irrigidito dal rituale delle norme severe: ci annoiava quel parlare quieto e «politichese» di cui ci sfuggiva il senso. Sbagliavamo. I conduttori salutavano, decisi, con impeto: «Gentili telespettatrici, gentili telespettatori». Oppure «elettrici ed elettori». Di rado dicevano «Cittadini».

A me piaceva la parola «cittadini». E i comizi in piazza, oltre che per l’enfasi, il torrido appellarsi agli entusiasmi, gli scampoli di eloquenza, l’oratoria focosa, mi piacevano anche perché mi facevano sentire «cittadino».

Io ascoltavo tutti: liberali, comunisti, repubblicani, missini, monarchici, socialisti, socialdemocratici e democristiani. Questi ultimi, ma spesso primi nei risultati, va detto, erano, spesso, noiosi. Il mio giudizio è apolitico, s’intende, dovuto solo alla mia adolescenziale valutazione teatrale di una quiete oratoria un poco sedativa. «Compagni, lavoratori, elettori». Pochi spudorati azzardavano un «camerati» E, poi, sempre: «Cittadini…». I candidati itineranti, pellegrini della democrazia bambina, dovevano mandare a mente il nome del paese nella cui piazza venivano scaricati dalla «Millequattro» Fiat noleggiata dal partito, per guadagnare il traballante palco illuminato dove gracchiava l’altoparlante a tromba, perché se quel toponimo lo avessero sbagliato, il successo se lo potevano scordare. Se a Gravina gli fosse sfuggito un «mi stanno a cuore i problemi dei lavoratori di Grumo», era finito. Ma altre insidie dovevano scansare i tribuni. Una volta, nella mia Bitonto, nell’enfasi oratoria dell’appello iniziale, un tizio che si candidava non ricordo più per quale microscopica lista di dissenzienti dei monarchici, leggendo il discorso, si lasciò sfuggire un «Elettori ed elèttrici». Proprio così, «elèttrici». Applauso.

Finito un comizio, si spegnevano le luci e gli spettatori, camminando istintivamente tenendo il passo della marcia finale, raggiungevano l’altro palco per ascoltare il prossimo comiziante e, alla fine di tre o quattro esibizioni, s’accendevano discussioni, che, come tema avevano la perizia oratoria. Poi i «cittadini» andavano a dormire con comodo. I «lavoratori» si «coricavano» prima. I «compagni» meditavano sulla speranza di un futuro sperando di svegliarsi all’alba del «sol dell’avvenir». I Democristiani pregavano. Credo.

Nei romanzi e nei film affrescati sullo scenario della Rivoluzione francese si incontrava la parola Cittadino come appellativo, come corredo livellante di nome e cognome. Era l’abolizione definitiva dei titoli onorifici e nobiliari tanto in odio al secolo dei lumi. Erano tollerati i titoli frutto di corvée accademiche o professionali: «Cittadino Dottore», detto del cerusico, «cittadino Avvocato» per il leguleio e «cittadino Generale» per rivolgersi al militare di rango. Mancò poco che, con il greve appannarsi degli ideali giacobini e il sorgere di una nuova monarchia, imperiale, per giunta, si desse del «cittadino imperatore» a Napoleone.

Sui manifesti del sindaco, compariva e, ancora compare, quel vocativo in neretto, «Cittadini!», come ai tempi del Dopoguerra che si mescolò con la guerra fredda e che ci fece familiarizzare con i partiti politici le cui sorti sono state compromesse dal tramonto della prima Repubblica.

A proposito: va detto che non si sa chi abbia deciso, e quando, che sia finita e chi abbia deciso, e quando, che ne sia sorta una seconda. Questa storia di numerare le Repubbliche non produce niente di buono.

Comunque dei e ai cittadini mi piace parlare, oggi. Nella speranza che si recuperi il valore, non montagnardo, né illusoriamente ugualitario della parola, ma la condizione di emancipazione dalla sudditanza, la liberazione dalla moltitudine della «gente» eterodiretta e dei consumatori, clienti, spettatori, telespettatori e vittime dell’informatica ossessiva e illusi dall’«intelligenza artificiale».

È minacciato un processo politico e, quindi, sarà probabilmente proposto un referendum sul nostro ordinamento istituzionale e, dunque per cambiare la nostra Costituzione, considerata tra le migliori del mondo e i cittadini che lo vogliono, quelli che non lo vogliono, i cittadini che sperano che venga loro restituito il primato della politica alta, i cittadini che credono nei valori che animarono le istanze e le volontà dei Padri fondatori della Patria, possono andare a votare. Possono esercitare il diritto più bello e più utile: possono decidere. Scegliere liberamente. E liberamente deliberare di lasciare la Costituzione così com’è. Provo un acuto disagio intellettuale a pensare che si possa demolire una gran parte della bella nostra Costituzione che mi permette la libertà di dire come la penso. Cittadini! Mi accorgo che, forse, ho fatto un comizio. Ebbene si. Non l’ho fatto apposta! O cittadini!

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