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Riflessione su quel confine italiano tra civili e incivili

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Quando c'è la salute, c'è Michele Mirabella

Siamo nella provincia austriaca dove è sconosciuto il parcheggio in doppia fila e i pochi colpevoli siamo quasi sempre noi

Domenica 13 Agosto 2023, 13:25

San Candido è uno degli ultimi Comuni italiani prima dell’ex confine con l’Austria. Per chi viene da Cortina d’Ampezzo con la «carrozzabile che «attraversa verdissime e maestose contrade», come recita, in redenta lingua italiana, la guida del primo dopoguerra, occorre lambire il territorio di Dobbiaco e dirigersi verso quello che fu, tempo fa, un tormentato valico confinario, occhiutamente vigilato per scansare fanatiche tentazioni bombarole, stupide e inutili, ma ora presidiato solo da qualche negozio di souvenir e da un caffè.

Poi è Austria, ma niente, se non i cartelli stradali, te lo farebbe pensare: nella estrema plaga italiana e in questa prima provincia austriaca, stessa pulizia, stesso meticoloso ordine, uguale il traffico disciplinato. Qui, per esempio, è sconosciuto il parcheggio in doppia fila e i colpevoli di questo squallido reato sono, quasi sempre, italiani: alta l’aliquota di meridionali.
Si apprezza, identica, l’atmosfera di pacifica e buona convivenza tra uomo e natura, anche quando si tratta dell’uomo-cittadino, essere notoriamente incline a dimenticare i diritti della natura. Lascio le quiete plaghe montane, convinto che, se mai i confini esistono, sono quelli naturali che il Padreterno, sommo geografo e convinto ambientalista, ha, dal tempo degli inizi, tratteggiato solo per fini orientativi e per fare in modo che nascesse la affascinante varietà delle culture. Sono gli uomini, gli uomini cittadini, che hanno tracciato le barriere non per segregare, ma per ribadire la varietà delle vicende etniche e culturali, distanze linguistiche e politiche, diversità d’abitudini e costumi che formano le ricchezze delle differenze geopolitiche. C’è un altrove di cui abbonda l’Italia che farebbe bene ad imparare la lezione.

Come nel caso che, desolatamente, contemplerò al termine della mia vacanza montanara, al mio arrivo nella mia diletta Puglia. Arrivi a Bari e ti accorgi immediatamente che l’aria è cambiata, quando maestosi autoveicoli da guerra detti «Suv» impediscono perfino il traffico dei pedoni sulle strisce. Mi capitò, anni or sono, percorrendo uno slalom tra le doppie e triple file di parcheggio in Via Napoli, un episodio che narro spesso agli studenti perché impartisce una perfetta lezione sui mass-media. Davanti ad una pescheria en plein air domandai ad un tale che aveva lasciato l’auto di traverso per scaricare gigantesche angurie ostacolando il passaggio dei pedoni perché non si comportasse più civilmente. Certo, il mio rimprovero ad alta voce e ore rotundo sorprese per un attimo lo scaricatore di angurie e lo vidi esitare reggendo un melone immane contro un altrettanto ingente pancione. Poi si riebbe e, deciso, mi rispose: «Vaffanculo tu e la televisione». Potere della notorietà.

Arrivo in albergo e leggo, via web, il giornale, il mio, il nostro, quello su cui sto scrivendo e apprendo che infuria una bella polemica sul fatto che turbe di malnati trasformano le spiagge, appena restituite all’uso pubblico della comunità, in un letamaio indegno. Cominciate a sentire il confine? Io sì. E comincio a sentire anche una rabbia sorda e incontrollabile che diventa malinconico senso di impotenza leggendo che, anche in Puglia, rischia di prendere piede, con furiosa avidità, la voga di fregare il fisco, cioè me e voi, lettori pagatori di tasse, con le barche di lusso che furoreggiano nei porti italiani. Truffe italiane, per milioni, di gentaglia che crea società di comodo addette a presunti noleggi nautici che comprano lussuosi natanti che, poi, affittano agli stessi titolari delle società o ai loro parenti. L’elusione del fisco è altissima. E adesso, lo intravedete il confine che si approfondisce e ci allontana dalla civiltà?

Tempo fa, presso Bari, visitai una chiesa antica in un luogo che non voglio nominare. Il bel monumento appena restaurato è tormentato dagli attacchi della teppa del circondario. Sui muri di pietra antica sono state disegnate con lo spray due porte per giocare a pallone in grandezza quasi naturale e già due lampioni appena alzati sono stati bersaglio di sassaiola. I fuochi sono all’ordine del giorno, anzi delle notti. Teppisti e delinquenti irriducibili, mi spiega il cortese sacrestano e aggiunge: «Li conosciamo tutti, uno per uno, ma siamo impotenti». Scansiamo un paio di motorini sfreccianti e ci mettiamo al sicuro (sicuro?) sul sagrato. Adesso non ditemi che il confine non si vede, si sente e si capisce. Ripenso alla Chiesa di Dobbiaco: l’ho visitata alle due del pomeriggio. Il luogo era deserto, la porta della chiesa aperta mi consentì di apprezzare un bell’edificio sacro tenuto in modo perfetto, si direbbe tirato a lucido. Perfino la cassetta delle elemosine sta lì sotto gli occhi di tutti, a disposizione di chiunque voglia «dare». E tutti, a giudicare dal raccolto, danno, nessuno «si prende cassetta e tutto» come potrebbe accadere nella terra dove s’azzardano anche a tentare di trafugare le reliquie di un Santo. Qui, tra i confini non segnati né dalle carte degli uomini, né dal volere di Dio, ma solo dagli abitanti incivili. Cittadini non lo sono ancora.

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