Una centrale operativa nel cuore del Salento, un giro d’affari illecito da oltre mezzo milione di euro, migliaia di utenti collegati da ogni angolo del Paese, tra i quali - il paradosso - numerosi esponenti delle forze dell’ordine. E quattro persone finite nei guai: padre, madre, figlio e un amico residenti fra Lecce e Surbo. È il bilancio dell’operazione condotta dalla Guardia di finanza di Lecce, che ha smantellato una rete di pirateria audiovisiva digitale strutturata e capillare, fondata sul sistema Iptv illegale, più noto come «pezzotto».
Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Lecce e affidate al Nucleo di polizia economico-finanziaria delle Fiamme gialle agli ordini del colonnello Giulio Leo, si sono avvalse del contributo tecnico degli specialisti in «Computer forensics & Data analysis». Grazie al supporto del Nucleo speciale beni e servizi della Guardia di finanza di Roma, l’inchiesta ha avuto un respiro nazionale, consentendo di risalire all’intera filiera del traffico illecito: dai promotori fino agli utenti finali.
Il sistema era tanto semplice quanto dannoso per le emittenti Tv: bastavano circa 10 euro al mese per accedere a un’offerta sconfinata di contenuti piratati, da Sky a Netflix, da Dazn a Mediaset Premium, trasmessi in violazione del diritto d’autore. La centrale operativa, localizzata a Lecce, smistava segnali Iptv a migliaia di utenti in 81 province italiane.
Il cuore dell’organizzazione, secondo le accuse, faceva capo a un 36enne di Lecce, disoccupato ma di fatto «dominus» del sistema. Insieme a lui sono finiti sotto inchiesta i genitori, oltre a un 33enne, residente a Surbo. Sono tutti indagati per violazione del diritto d’autore e autoriciclaggio.
Le indagini hanno svelato che il 36enne gestiva un imponente flusso di microversamenti - centinaia di pagamenti mensili via Postepay, Paypal, Revolut e N26 - con causali quali «abbonamento», «rinnovo» o «supporto». Migliaia e migliaia di euro finivano sulla sua carta e su quella del 33enne. Ma somme di denaro risultano accreditate anche sulla Postepay della madre.
Il padre, pur percependo meno di 20mila euro annui, avrebbe effettuato consistenti giroconti a favore del figlio. I proventi, secondo la Procura, sono stati reinvestiti in beni mobili e immobili per dissimularne la provenienza illecita. Tra i beni che figurano nel decreto di sequestro preventivo firmato dalla giudice per le indagini preliminari Silvia Saracino ci sono cinque appartamenti a Lecce, acquistati tra il 2017 e il 2022; una Range Rover Evoque da 10.000 euro; una Autobianchi Bianchina del 1968. E 60mila euro in contanti che sono stati trovati durante una perquisizione nascosti in una scatoletta di latta nella credenza della cucina.
I finanzieri hanno poi rilevato pagamenti verso una società romena, la Nanomid Emea Srl, specializzata in soluzioni tecniche per Iptv. Per gli investigatori un segno della struttura professionale del sistema illecito.
gli utentiUno degli elementi più significativi dell’inchiesta, per capire la portata del fenomeno, è l’identificazione e la sanzione di ben 2.342 utenti finali, colpevoli di aver acquistato abbonamenti pirata. Attraverso l’incrocio dei dati bancari e delle piattaforme di pagamento, ogni transazione ha portato a un nominativo.
Tra i destinatari dei verbali non solo persone comuni, studenti, lavoratori, professionisti e famiglie, ma anche numerosi esponenti delle forze dell’ordine, che usufruivano del servizio pur essendo perfettamente consci della sua natura illegale. Tutti sono stati raggiunti da contestazioni per violazione amministrativa, con possibili aggravanti in caso di reiterazione.
L’operazione ha suscitato attenzione a livello istituzionale. Mercoledì scorso, nella sede centrale del Coni a Roma, i risultati dell’indagine di Lecce sono stati illustrati nel corso di un incontro tra l’amministratore delegato della Lega Serie A, rappresentanti del governo, alti ufficiali della Guardia di finanza e altri attori della filiera audiovisiva. I vertici dello sport italiano, specie quelli del calcio, sono da sempre tormentati dal fenomeno dello streaming illegale degli eventi.
La pirateria digitale - è stato non a caso ancora una volta sottolineato - drena centinaia di milioni di euro ogni anno all’industria legale dell’intrattenimento. Il caso Lecce è stato presentato come esempio virtuoso di contrasto, capace di colpire non solo i vertici dell’organizzazione, ma anche la platea degli abbonati, spesso convinti dell’impunità.
«Anche chi paga pochi euro per un servizio illegale contribuisce a un sistema criminale e può essere sanzionato», ha commentato la Guardia di finanza. E l’indagine dei baschi verdi contribuisce a inviare un messaggio chiaro e diretto: il «pezzotto» non è una furbizia a basso costo, ma un reato che alimenta una rete organizzata, in grado di generare profitti illeciti per centinaia di migliaia di euro, spesso reinvestiti con modalità che sfiorano il riciclaggio professionale.