«È il messaggio più bello, non m’aspettavo che arrivasse proprio l’otto marzo. “Grazie mamma per la donna che sei-. Mi hai salvato la vita, io non sarei qua se non fosse stato per te. Mi sarei ammazzata”. E questo dice tutto». Ora che la vergogna è un filo clandestino spezzato e che suo figlio è sbocciato in una ragazzina tredicenne «meravigliosa» e «tenace», Rosaria Riccardo ha la voce di chi vuole gridare una notizia lunare. «Michelle ha un futuro, è bellissima, ha del potenziale e io la vedo proiettata molto lontano», dice all’esordio del racconto di un «altro otto marzo», quello di una donna madre di chi femmina non è ma non è nemmeno maschio.
Rosaria ha 55 anni, vive in paese di quattromila anime in provincia di Lecce. Lavora come donna di cura di un’anziana e ha un impegno nell’Associazione genitori amici degli omosessuali (Agedo) che la tiene viva ogni minuto: «Da madre dico alle mamme che hanno figli trans di non perdere tempo e di assecondare subito la transizione. Dei propri figli non bisogna vergognarsi quando cercano di autodeterminarsi. Michelle mi ha detto un sacco di volte: “Io non ho chiesto di nascere così, non è colpa mia”».
Rosaria è divorziata («ma a mio marito è stata sempre dalla nostra parte»). Quindici anni fa ha partorito due gemelle, Paola, e Pietro (nome di fantasia) ora Michelle, dunque, un androginoide che sta affrontando la disforia di genere. Complici, alleate, le gemelle. Frequentano entrambe il liceo artistico. «Dopo la terza media è stato necessario separle per consentire una maturità pasicologica più forte per entrambe»
Il macigno che Rosaria non s’aspetta, s’abbatte quando Michelle ha dodici anni: «Mi chiamò in disparte e mi disse che avrebbe dovuto raccontarmi una cosa che non mi avrebbe fatto piacere. “Sono un trans”. Le risposi che magari si trattava solo di una fase. Mi ha risposto: “Mamma non è una fase e voglio vivere alla luce del sole. Mi vuoi ancora bene?”. Risposi: “Ti voglio bene a prescindere perché sei mia figlia”. Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Ci siamo abbracciate, siamo scoppiate a piangere»
Non è mai troppo tardi per un inizio. Ma abituarsi all’idea di offire un’ala a chi cerca un volo in un corpo diverso non è una passeggiata: «In questi anni lei sta facendo tanto per essere quello che si sente di essere. Sto facendo la transizione insieme a lei per accogliere una nuova figlia. L’ho già accolta, ma, ripeto, mi sento in transizione anch’io, anche per me è un cambiamento. Non ero pronta. Sapevo dei trans solo per i film e immaginavo cose brutte. Pensavo fossero tutti travestiti, lo metta tra vergolette il termine “travestiti”, è una parola bruttissima. Pensavo: farà una brutta fine. E invece...» E invece la gabbia che imprigionava un corpo biologico odiato è stata spezzata. Con tanti sacrifici e mille rinunce.
La forza di Michelle è il risultato di quello che ha superato: «È in cura al “Careggi” di Firenze. Sfortunatamente Michelle ha avuto una crescita molto precoce e questo non è andato a suo favore perché si è sviluppata troppo presto. Già a dodici anni i suoi caratteri sessuali da maschio, la barba, i peli, erano molto accentuati. Ecco perché dico ai genitori di non perdere tempo: se avessimo cominciato le cure un anno prima, magari saremmo intervenuti in tempo per evitare tanto dolore a lei».
La dannazione peggiore è nel corpo che muta in una capsula del tempo affollata di stereotipi, pregiudizi, discriminazioni: «Ci fa male l’ignoranza della gente, alludo alla non conoscenza della condizione che vive un transgender e della quale la gente non sa niente. E non solo la gente. le confesso che spesso ci sentiamo soli anche rispetto ai parenti. Ed è quello che fa soffrire più Michelle, non tutti in famiglia sono dalla sua parte. Ma ci sono gli amici, quelli sì, sono vicini». Succede che il mare in tempesta ha le sue maree, certo, ma in profondità ha anche le sue perle: «Michelle non sopporta di essere vista come un oggetto del desiderio, un oggetto sessuale, soprattutto dai maschi adulti. Spesso mi racconta che quando va a scuola, a Lecce, subisce insulti. Lei va in bestia. “Mamma, non riesco a capire perché un trans esiste solo per fare sesso. Non è un oggetto del desiderio perverso. E questo deve valere per tutte le donne”. Sono parole che mi hanno fatto riflettere. Parole mature. Che mi preoccupano, ma che mi danno fiducia sulla sua maturità».
Sì, si diventa forti a lasciar andare ciò che non puoi cambiare. Come il pregiudizio che s’annida anche nei luoghi della fede. «Ho smesso di andare in chiesa. Il sostegno mi arriva solo dal parroco e in privato. In parrocchia non si parla dei diritti che vengono negati alle persone trans e omosessuali. Già parlarne sarebbe riconoscere il diritto di esistere che è quello sul quale come genitori Agedo battiamo tanto».
La voce di Rosaria torna lunare. Come quella di chi ha imparato a star bene anche da sola: un privilegio che ti regala quello più prezioso, poter scegliere con chi stare.