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Bimba morta a 2 anni a Lecce, parla il papà: «Ritardi e disattenzioni, aveva la febbre a 41»

 
Giuseppe Albahari

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Giuseppe Albahari

ospedale Vito Fazzi di Lecce

«Ora chiediamo che si accertino eventuali responsabilità»

Giovedì 09 Febbraio 2023, 12:10

SANNICOLA - «Accendere un faro per capire cosa è successo alla nostra piccola Ludovica». È questo l’angoscioso interrogativo che si pone Gianluca Puce, padre della bambina morta al “Vito Fazzi” di Lecce il 29 dicembre scorso, a soli due anni e mezzo, per un’encefalite che l’aveva colpita tre giorni prima. Un interrogativo che ne sottintende un altro ancora più doloroso e drammatico: capire se si sarebbe potuta salvare, capire il peso che potrebbero avere avuto i ritardi che ritiene si siano verificati nell’ospedale di Gallipoli prima del trasferimento a Lecce. Ora i genitori di Ludovica confidano che le risposte arrivino dalla Procura dove è stato depositato un esposto dall’avvocato Alessandro Greco. E il legale sottolinea la grande differenza nella gestione del caso, tra gli ospedali di Gallipoli e di Lecce, differenza che emerge anche dalla ricostruzione dei fatti raccontata dal genitore.

L’uomo, in compagnia della madre e della moglie, dopo le 19 del 26 dicembre trasportò la bambina al Pronto soccorso di Gallipoli segnalando che aveva perso conoscenza e che la febbre era salita a 41 gradi. «I medici - racconta - le praticarono un’iniezione intramuscolo e, mentre io spostavo l’auto, dissero a mia moglie di portare la bambina alla guardia medica pediatrica, che alle 20 avrebbe chiuso. Non sapendo dove fosse, mia moglie chiese di essere accompagnata e si offrì di farlo la guardia giurata in servizio presso il Pronto soccorso: prese la bambina in braccio e la portò al primo piano, dove è situato l’ambulatorio». «La porta era chiusa - continua a raccontare il papà di Ludovica - c’erano due persone con due bambini in attesa che si resero conto delle condizioni della mia bambina e cedettero il posto. Trascorso un quarto d’ora, la guardia giurata bussò per segnalare l’urgenza e una dottoressa aprì la porta e disse che doveva attendere il proprio turno, ripetendo tale affermazione, sempre a voce alta, anche quando le fu spiegata la gravità della situazione e proponendo come alternativa il ricovero in Pediatria».

«Portata in questo reparto - continua, - misurarono l’ossigenazione del sangue e poi mi sembrò che aspettassero che si riprendesse da sola. Dopo le 21, alle mie proteste replicarono che potevo anche portarla a Lecce con la mia auto. Ripresi la scena con un video e chiesi che lo mettessero per iscritto. A quel punto, dissero di volere rivalutare la situazione, salvo preoccuparsi quando si accorsero di non riuscire a trovare una vena e disporre il trasferimento a Lecce con un’autoambulanza, senza medico a bordo e senza alcun ausilio respiratorio».

«Dico questo - aggiunge Gianluca Puce - perché, appena giunti a Lecce, fu invece intubata e sottoposta ad esami e Tac. Mia moglie rimase in reparto, dove può prestare assistenza solo una persona, ed io ritornai a casa, ma per poco tempo: alle 3 della stessa notte fui chiamato e mi resi subito conto della gravità della situazione dal numero di medici e delle persone che si trovavano intorno al letto della bambina. Qualche ora dopo, capimmo che non ce l’avrebbe fatta».

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