Giudice Tanisi era presidente della Corte d’Assise che nel 2017 condannò all’ergastolo l’autore di un feroce delitto, l’assassinio della piccola Angelica Pirtoli. Cosa ricorda in particolare di quel processo?
«Il processo per l’omicidio di Paola Rizzello e Angelica Pirtoli, a carico dell’ultimo esecutore del duplice delitto, al di là di ciò che si potrebbe pensare (essendoci stata già una sentenza definitiva contro i mandanti ed un altro degli esecutori), è stato particolarmente complesso, essendosi svolto a quasi trent’anni dal fatto e a 16 anni di distanza della prima Sentenza. Evidente, in un caso come questo, la difficoltà nel ricostruire il quadro probatorio. Inoltre è stato un processo difficile per la particolare gravità del fatto omicidiario: l’uccisione di una giovane donna e di una bimba di appena due anni, con modalità di inaudita brutalità. Ciò ha coinvolto, anche emotivamente la Corte, pur se la valutazione di fatti e prove è stata fatta con la massima obiettività possibile».
Colpisce la distanza di tempo: i mandanti, cioè il boss Luigi Giannelli e la moglie Anna De Matteis, che decisero il delitto, e il luogotenente Donato Mercuri, che lo organizzò, furono condannati nel 1999. Ci vorranno quasi vent'anni per arrivare a una giustizia compiuta, con la condanna dell'esecutore materiale, Biagio Toma.
«Sì, è vero, colpisce la distanza di tempo fra le due sentenze. Ma questo non deriva da trascuratezza della Procura (come qualcuno ha detto), ma da motivi esclusivamente processuali. Con riferimento alla responsabilità del secondo esecutore del delitto, oggetto del processo dinanzi alla Corte da me presieduta, per lungo tempo c’era, quale unico elemento di prova, la chiamata in correità del coesecutore De Matteis e, se vogliamo, anche la sentenza della Corte nei confronti dei mandanti e dello stesso De Matteis nel primo processo. Troppo poco per andare a giudizio, considerato che la chiamata in correità da parte di un c.d. “pentito” è, di per sé, una prova debole, che necessita di riscontri. Quando questi sono stati trovati, per esempio col “pentimento” di Massimo Donadei, che ha reso importanti dichiarazioni sul delitto, o con altri elementi di prova, come una intercettazione ambientale particolarmente significativa, l’imputato Toma Biagio è stato tratto a giudizio ed è stato possibile celerare il processo. Non escludo che qualche piccolo ritardo possa esserci stato, dovuto ai trasferimenti che, negli anni, hanno interessato i colleghi che, in Procura, si occupano di criminalità organizzata, ma le ragioni vere del “ritardo” sono quelle che ho appena evidenziato».
La sua sentenza chiarisce un punto molto importante: Paola Rizzello non si faceva scudo con la figlia in incontri pericolosi. La presenza della bimba in quel tragico incontro che costò la vita a madre e figlia fu casuale, non voluta. Angelica Pirtoli e sua madre Paola Rizzello sono state vittime innocenti di mafia?
«Che Paola Rizzello si facesse scudo con la figlia è stato, probabilmente il retropensiero degli esecutori del delitto. Come evidenziato in sentenza, la presenza della figlia quel tragico giorno in cui venne perpetrato l’omicidio, fu dovuta a pura fatalità, ossia al fatto che la bimba non aveva voluto restare all’asilo ed aveva pianto tutto il giorno, per cui sua madre era andata a prenderla. Del resto, secondo logica, se Paola Rizzello avesse sospettato qualcosa di grave per sé e, ancora di più, per sua figlia non si sarebbe recata all’appuntamento che poi le risultò fatale. La verità è che la donna non sospettava di nulla, anche perché riteneva di essere nelle grazie del capo indiscusso del clan, Luigi Giannelli, e del numero 2 del sodalizio, Donato Mercuri, mentre entrambi, per ragioni diverse, la volevano morta. Dunque, sì, tanto Paola Rizzello e, soprattutto, Angelica Pirtoli, sono entrambe vittime innocenti di mafia. Nella sentenza, redatta dalla collega Mariano, questo è scritto a chiare lettere».
Questa vicenda sfata un mito molto in voga: che la mafia abbia un "codice d'onore" che risparmia dalla violenza donne e bambini.
«Che la mafia risparmi donne e bambini è un “mito”, ormai smentito da tanti, troppi episodi. Forse poteva valere nella prima metà del secolo scorso, certamente non oggi e l’omicidio di Angelica Pirtoli, come quello di Giuseppe di Matteo in Sicilia, strangolato e sciolto nell’acido, sono lì a dimostrarlo».
Una violenza del genere lascia vittime anche tra chi rimane vivo. Dopo più di trent'anni i familiari di Angelica e Paola si sono decisi a riprendere la parola pubblicamente: la loro testimonianza può avere anche un valore sociale?
«Il dolore dei familiari per l’uccisione di Paola Rizzello e di sua figlia certamente non può essere lenito dal tempo. Dopo quelle morti si sono chiusi nel loro dolore e solo oggi, qualcuno di loro, fa sentire la sua voce. Credo sia una cosa molto positiva, oggi che di Angelica Pirtoli si torna a parlare, soprattutto dopo che nel parco a lei dedicato a Parabita – un bene sottratto alla criminalità – è stata allocata una barca confiscata agli scafisti, ai traghettatori di morte, e trasformata, per la meritoria opera della professoressa Ada Fiore, in una sorta di barca della legalità e della giustizia ed anche in luogo per ricordare la tragica vicenda della piccola Angelica».
Angelica Pirtoli è sicuramente la più piccola vittima di mafia nel Salento e probabilmente anche in tutta Italia. A che serve ricordarla, come stanno facendo negli ultimi anni tante comunità salentine attraverso strade, scuole, biblioteche?
«Credo anch’io che Angelica sia la più piccola vittima di mafia, uccisa nel più efferato dei modi. Ed è doveroso ricordarla, dedicare a lei strade, parchi o giardini, intanto per ricordare a tutti il suo sacrificio e poi per evidenziare quanto possa essere brutale la criminalità mafiosa. Un monito perché si stia, tutti, dalla parte della legalità e della giustizia».
Da ultimo una domanda sull’attualità. Cosa pensa delle riforme che si stanno varando sul sistema Giustizia?
«La risposta richiederebbe molto spazio, che certamente non abbiamo. In estrema sintesi. Sono favorevole alla fine delle cosiddette “porte girevoli”. Se si è scelto di fare il magistrato, si continui a fare il magistrato. Se si vuole fare politica, si faccia politica, ma non si torni a fare il Magistrato. E questo non perché chi, dopo un’esperienza politica, non sappia più essere Giudice o pm imparziale, ma perché induce al sospetto che possa non esserlo. Ad essere macchiata è la sua immagine di terzietà. Quanto alle altre riforme sono inutili o pericolose».