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Sanità Puglia, «Torno a Lecce nel mio reparto dopo aver visto l’inferno a Salerno»

 
Linda Cappello

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Linda Cappello

Sanità Puglia, ««Torno a Lecce nel mio reparto dopo aver visto l’inferno a Salerno»

Roberto Perniola

il rianimatore neonatale Perniola ha lavorato come volontario negli ospedali di Abruzzo e Campania

Lunedì 21 Dicembre 2020, 13:09

LECCE - Ha lasciato i suoi piccoli pazienti per salvare altre vite umane. Roberto Perniola, 59 anni, rianimatore neonatale dell’ospedale «Vito Fazzi» di Lecce, è tornato poche settimane fa da Salerno, dove ha lavorato nel Covid Centre dell’ospedale Giovanni da Procida. È stato chiamato dalla protezione civile, dopo che nell’aprile scorso in pieno lockdown era partito come volontario per l’ospedale di Atri, in provincia di Teramo. In prima linea, ora come allora, sempre nel reparto di Rianimazione.

Dottore Perniola, lei è un medico stimato, lavora in ospedale da tanti anni. È un marito e padre di due bambini. Cosa l’ha spinta a scegliere di fare un’esperienza così rischiosa?
«In primis un’anima patriottica e guerriera. Ricordo un episodio accaduto a fine marzo, in pieno lockdown. Mi stavo vestendo per andare in ospedale quando mio figlio, forse impressionato dai racconti di quel periodo, mi disse: “Papà non andare all’ospedale di Lecce, vai a Bergamo che lì hanno più bisogno”. Rimasi folgorato. Gli spiegai che Bergamo era una città molto lontana e vidi che lui era rimasto quasi deluso. Poi qualche giorno dopo sentì una notizia, che successivamente si rivelò una fake news, e cioè che molti operatori dell’ospedale Cardarelli di Napoli si erano messi in malattia per paura di contrarre il Covid. Così quando uscì il bando della protezione civile partecipai. Ovviamente avevo già manifestato in famiglia le mie intenzioni».

I suoi figli e sua moglie come l'hanno presa?
«I bambini erano entusiasti, anche se dispiaciuti per la lontananza. Mia moglie era più perplessa ma alla fine ha capito. In tutta questa storia la vera eroina è lei. Era sola, con due bambini a cui badare e che seguivano le lezioni a distanza. La sera al telefono qualche volta la sentivo piangere per la fatica, ma anche per la preoccupazione».

In entrambe le missioni ha lavorato nel reparto di Rianimazione. Un ruolo delicatissimo, specialmente per chi ha altre competenze. Come ha affrontato questa sfida professionale?
«Pensavo che sarei stato assegnato ad una casa di cura, o magari impiegato nell’assistenza domiciliare. Invece, quando ad aprile arrivai a Roma per essere poi assegnato alla destinazione, un dirigente della Protezione civile mi disse che avevano bisogno di un rianimatore. Replicai che io ero sì un rianimatore ma neonatale. Me lo chiese per tre volte di seguito, dicendomi che mi sarei dovuto adeguare. Ero lì per aiutare, non certo per creare problemi. E così accettai. Devo precisare che non ero mai da solo in reparto, ma sempre in supporto ad altri colleghi. Sono stato ad Atri, in provincia di Teramo, dal 15 aprile al 6 maggio. A Salerno, invece, dal 4 novembre al primo dicembre».

Lei ha vissuto un’esperienza molto forte, anche dal punto di vista emotivo. C’è stato un momento in cui ha pensato di lasciare tutto e tornare a casa?
«Non l’avrei mai fatto. Anche se una cosa del genere viene da pensarla continuamente, lo sconforto non ti lascia mai. A Salerno la situazione era tragica, sono morte davvero tante persone. La maggior parte di età avanzata, ma c’erano anche più giovani».

Lei era consapevole affrontare un percorso che metteva a rischio la sua vita: come l’ha cambiata questa esperienza?
«Non che ce ne fosse bisogno nel mio caso, ma più in generale posso dire che si da maggiore importanza a quello che conta davvero nella vita».

Come hanno reagito i suoi colleghi davanti alla sua decisione?
«Molto bene, ringrazio profondamente il dottor Adriano Bove e il dottor Fernando Del Cuore che mi hanno supportato e fatto sentire il proprio affetto. Così come tutti i miei colleghi di reparto ed il personale infermieristico. Ricordo che ad aprile, il giorno della partenza, mi chiamarono sia l’allora direttore sanitario Giampiero Frassanito che il direttore generale Rodolfo Rollo per congratularsi con me e augurarmi buon lavoro. Un sentito grazie anche al mio parroco, don Fernando Doria, che non mi ha fatto mai mancare il suo sostegno».

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