OSCAR IARUSSI
Nella notte dei lunghi cervelli, fra domenica e lunedì, molti commentatori si sono impegnati a spiegare le ragioni della vittoria del «No» e talora a riposizionarsi nelle stanze del Palazzo, sebbene la stagione post-referendaria sia per molti versi imprevedibile.
Potrebbe essere peggio dei mille giorni trascorsi con Matteo Renzi al governo? Certo, «potrebbe piovere», per dirla con la sublime battuta di Igor (Marty Feldman) nel film Frankenstein Junior. Forse per esorcizzare il pericolo del maltempo, Renzi ha chiuso il suo primo tweet dopo la sconfitta con il simbolo di una faccetta gialla sorridente. Nel Post scriptum del tweet confermava l’imminente conferenza stampa di mezzanotte a Palazzo Chigi, scusandosi per il ritardo di qualche minuto: «Arrivo arrivo» e vai con l’emoticon.
Poco dopo, la sua uscita dalla sala, leggermente ricurvo con un braccio sulle spalle della moglie Agnese, è stata elevata a immagine simbolica della nottata e della fine di un ciclo. Invece a noi pare che la faccetta del tweet dica «tutto Renzi» persino sull’orlo di un abisso elettorale che rischia di inghiottire molte aspettative. Non certo un abisso politico e tanto meno personale, giacché il premier è assai giovane e nessuno in Italia, ripeto «nessuno», ha mai creduto che si sarebbe ritirato a vita privata, come lui fece intendere in un paio di occasioni.
La faccina sorridente del Post scriptum, da una parte ha il sapore di una giovinezza che legittimamente si attarda fino ai quarant’anni, pur di ingannare impegni molto più gravosi. Dall’altra, quella faccina da «cazzeggio» dice che Renzi non ha ben capito che cosa è accaduto né come mai, secondo le stesse parole che avrebbe confidato ai suoi, stia così antipatico alla maggioranza degli italiani.
È questione di tempo e di spazio. Non puoi essere sempre veloce e comprimere il senso delle cose nei 140 caratteri consentiti da Twitter. Altrimenti rischi di non dire alcunché o di dirlo con il fiato spezzato e tuttavia ossessivo come la comunicazione pervasiva messa in campo in favore del «Sì». Non puoi raccontare storie se il racconto non corrisponde alle storie nude e crude, perché quella è un’arte nobile e si chiama letteratura. In politica gli addetti ai lavori l’appellano storytelling, ma i cittadini hanno il sospetto che si tratti di puttanate. La bandiera delle «narrazioni», che in Puglia si è strappata qualche anno fa, è stata raccolta da Renzi, ma non sventola, non riesce a sventolare per sempre. Uno straccio di autenticità s’impone.
È insomma l’idea stessa della politica come mera «comunicazione» a essere travolta dal risultato referendario. Se comunichi in modo tanto massiccio e lo fai avvalendoti degli spin doctor più cari sul mercato e delle agenzie più aggressive, eppure perdi, beh, qualcosa non va alle radici della scelta.
Alla precedente sconfitta di Matteo Renzi, contro Pier Luigi Bersani nelle elezioni primarie Pd del 2012, l’impressione del suo discorso fu notevole. Niente emoticon, molto coraggio, una voglia di riscatto ben temperata dall’umiltà. E infatti solo un anno dopo, alle nuove «primarie», Renzi avrebbe sconfitto Cuperlo e Civati. Cosa è cambiato? Ovviamente contano i mille giorni di governo, condotti solo sulle prime da «rottamatore» (degli avversari, non sempre delle cattive pratiche della politica), poi da accentratore assente su molti questioni. Assente nel Sud, che gli ha riservato il boccone più amaro con altissime percentuali del «No».
Altrettanto negativa è stata la reazione dei più giovani al personalismo e alla libido plebiscitaria dapprima manifesta («Mi gioco tutto») e quindi sottesa al voto. L’80 per cento degli elettori tra i 18 e i 34 anni ha detto «No» alla riforma della Costituzione, ma anche e soprattutto a Matteo Renzi. Un risultato non confortante per chi era entrato nell’agone dei palazzi romani col passo baldanzoso (e un po’ toscano) della gioventù. E i giovani gli hanno detto «No» perché - conoscendo le delizie e le insidie dei social - non credono che un tweet o un post possa trasformare il mondo. Perché vorrebbero capire - a costo di annoiarsi - di che cosa parliamo quando parliamo di lavoro che non c’è nonostante il «Jobs Act», di scuola messa maluccio nonostante «La buona scuola», del futuro nonostante Twitter o Facebook.
Noi giornalisti anche stavolta nel prevedere gli esiti, «modestamente, abbiamo sbagliato tutto» - per dirla con l’estro di Cesare Zavattini. Quando per strada tutti o quasi dicono che domani «potrebbe piovere», non se ne esce rispondendo Après moi le déluge!, come implicitamente ha fatto Renzi. Perché poi il diluvio arriva: 19 milioni 419.000 «No», rispetto a 13 milioni 432.00 «Sì». Non è roba da faccine, è questione di Politica. Già, con la P maiuscola.