È uno di quei rari casi in cui realtà e percezione coincidono: non solo i dati confermano che lo spopolamento del Mezzogiorno è ormai un’emergenza meridionale ma è il 60% degli italiani (al Sud 7 cittadini su 10) ad indicarlo come «priorità assoluta». Lo certifica l’indagine «Il futuro di chi?» condotta dall’Istituto Demopolis, illustrata ieri al cinema Barberini di Roma. L’occasione è la presentazione del piano triennale dell’attività di Fondazione con il Sud, presieduta dall’economista napoletano Stefano Consiglio: un momento di riflessione - che ha visto, tra gli altri, la partecipazione del presidente Anci, Gaetano Manfredi, e del vice presidente di Confindustria, Natale Mazzucca - dedicato all’«orizzonte da costruire insieme». Pubblico e privato, ricerca e impresa, Stato e Terzo Settore, uniti per «rigenerare» il Mezzogiorno.
Presidente Consiglio, qual è la fotografia del Sud che emerge da numeri e report?
«Una fotografia ambivalente, direi. Da un lato ci sono una serie di criticità oggettive legate ai divari di cittadinanza che si allargano come testimoniano le tante analisi disponibili».
E dall’altro?
«Ci sono segnali positivi: l’economia è più dinamica rispetto al passato. Diversi territori stanno provando a rimboccarsi le maniche e a migliorare le cose».
Scegliamo dal mazzo una criticità fra tutte: qual è la vera emergenza?
«Il nodo critico sono i trend demografici. L’invecchiamento e lo spopolamento. Ho girato molto il Mezzogiorno in questi anni ed è un problema che tocchi con mano, soprattutto se visiti i piccoli centri e non solo le grandi città dove comunque il tema è presente. L’inazione di questi anni ha aggravato la situazione».
Qualche numero per fotografare il fenomeno?
«In vent’anni, dal 2001 al 2023, il Mezzogiorno ha perduto già 730 mila residenti. Nel 2020, per la prima volta dal Dopoguerra, la popolazione del Sud è scivolata sotto la soglia dei 20 milioni di abitanti. Nel 1951, rappresentava il 43,4% del totale italiano; nel 2024, il 33,5%. Se le previsioni dell’Istat troveranno una conferma, nel 2080 la quota piomberà al 25,8%».
Quali sono i casi più gravi?
«La Sardegna e la Basilicata dove il problema è stato più volte denunciato, anche con vigore, ma mai affrontato. Bisogna passare ad una fase operativa».
Ecco, come si può intervenire?
«Noi ragioniamo su un impegno triennale, 2025-2027, ispirandoci a un principio costituzionale, quello della sussidiarietà. Lo spopolamento è un problema troppo complesso per essere affrontato solo con l’intervento statale o con quello del mercato. Serve una grande alleanza fra pubblico, privato, privato sociale, università».
Diamo l’alleanza per acclarata. Che si fa?
«Quattro direttrici: far ripartire la natalità, creare occasioni di permanenza con un lavoro dignitoso, lavorare sui ritorni possibili e promuovere l’accoglienza. Sono dei pilastri imprescindibili che bisogna nutrire con impegno e risorse. Nei suoi 18 anni di vita Fondazione con il Sud ha già messo sul tavolo 300 milioni di euro. E anche per il prossimo triennio abbiamo aumentato gli sforzi».
Principi e risorse sono indispensabili ma può fornire un esempio concreto di quanto è stato già fatto?
«Posso citare la vicenda di una cooperativa nel quartiere Sanità di Napoli, dove la gente non entra per paura: ecco, sono partiti con 9 operatori, ora hanno 70 dipendenti, età media sotto i 40. Ebbene, da loro sono nati già 34 figli. È la dimostrazione che, realizzata la stabilità, torna la voglia di diventare padri e madri».
E in Puglia?
«La Puglia per noi è un laboratorio straordinario. Mi viene in mente il Parco agricolo dei Paduli, messo in piedi da ragazzi che hanno studiato a Bologna, Firenze e Lecce. Grazie alla collaborazione con una rete di sindaci e con gli enti del Terzo Settore stanno cercando di dare una risposta al problema della Xylella creando cooperative di comunità. Molti ragazzi del posto sono tornati a casa e, con tutta probabilità, ci resteranno. È solo un esempio ma illumina la strada da seguire».