Scarpinando su per il Vulture ho modo di analizzare le cripte di età medievale alla cui visita invito i lettori.
La presenza bizantina nell’area è attestata dall’875, anno in cui i greci conquistano gran parte della Puglia e della Lucania . Scrive a questo proposito Franca Sogliani dell’Università di Basilicata, che «Dalla seconda metà del X secolo i monaci greci fondano le cripte di santa Barbara, del Crocifisso, di San Biagio e di Sant’Elia a Rapolla, e il monastero di san Benedetto, prima fondazione di San Vitale».
Questa presenza è rimarcata dalla cripta di San Michele di Monticchio, dalle tante grotte trasformate in tempi recenti in cantine per la conservazione dell’aglianico nei centri di Rionero e Barile e a Melfi da quelle diffuse lungo il doppio sterrato che da Porta Venosina scende verso Rapolla e Venosa e dalle grotte di monte Tabor e da quelle gigantesche dei Balnea e della Selice.
Tra queste c’è anche la grotta basiliana di San Biagio, ubicata nei pressi di Forenza. Resta di essa una navata scavata nella roccia, con pilastri e cappelle a muro. Sulle pareti, una serie di affreschi medievali. Nel primo arco racconta don Cosimo Fonseca l’immagine di Cristo «assiso sul trono bizantino dal cuscino rosso a punte… e santi di chiaro stile bizantino con occhi rotondi, sopracciglia fortemente arcuate, mani benedicenti alla maniera greca…».
La più importante tra queste è al momento la cripta di santa Margherita ubicata nei pressi del cimitero di Melfi. Le discussioni circa la datazione della cripta e degli affreschi sono quanto mai vive e tra loro contrastanti. E se i pigmenti dei prodotti per la colorazione della grotta parlano di secoli prossimi agli Svevi, la cripta, con ambiente destinato a un guardiano fa pensare a una sua preesistenza e a eremiti che non sentivano ancora il bisogno di edificare muri ma di scavare nel tufo. Il luogo lo permetteva, collocato tra scoscendimenti e orridi, circondato da corsi d’acqua ad andamento torrentizio. E tale che convinse nel XIV secolo i Francescani a costruire, a poche centinaia di metri da qui un convento dedicato ad Ognissanti. E sollecitò la comunità di amalfitani presenti a Melfi ad edificare un convento di Benedettini nel 1044.
Lo stato di conservazione degli affreschi sulle pareti di Santa Margherita è precario, a causa dell’umidità e della minaccia di radici di edera che tendono a gonfiare lo strato di calcina che sottende i dipinti.
Gli affreschi della chiesa vengono assegnati a un periodo compreso tra XII e XIII secolo, anche se i troni bizantini su cui siedono Cristo e la Madonna, senza spalliera con il cuscino rosso a punte, il gesto benedicente alla greca, il manto grigio che avvolge secondo l’uso greco il corpo e il capo di Maria e la presenza di una serie di santi tutti di derivazione orientale fanno pensare al perdurare di un’arte fiorita in età bizantina. Così che gli ignoti artisti di Santa Margherita praticarono una commistione tra santi e tecniche pittoriche d’Oriente e d’Occidente attestando una coesistenza tra culto ortodosso e culto latino.
La cripta, della quale si sono occupati a fine ottocento Giovanni Battista Guarino e in tempi recenti Pia Vivarelli , Gaetano Cici e la Fondazione Zetema, fu dedicata a santa Margherita d’Antiochia, martirizzata nel IV secolo e patrona di partorienti e ci dice di un primo intervento di scavo effettuato in età precedente il XII secolo e che fermava il fondo della navata centrale all’altezza dell’altare. Sulla parete dell’altare infatti non è stata cancellata parte di una figura che apparteneva ad affreschi precedenti a tutta parete. Successivamente si scavò intorno all’altare e si fece sprofondare di mezzo metro la navata su cui verrà raffigurata santa Margherita.
I santi raffigurati sono: San Nicola, San Michele, Sant’Andrea, Santo Stefano, San Lorenzo, San Pietro, Santa Lucia, San Giovanni Battista, san Benedetto e san Basilio. A questi santi, alcuni dei quali di derivazione orientale furono aggiunti altri di culto latino, San Paolo, San Vito, Santa Elisabetta, Sant’Orsola, forse Santa Cordula, un Cristo pantocratore, una Madonna in trono.
Scavata interamente nel tufo, la chiesa è a navata unica divisa in due moduli rettangolari coperti da crociere a sesto acuto. Il primo modulo è a livello del piano stradale, il secondo è leggermente soprelevato. Entrando ci si imbatte sulla sinistra in una cappella con volta a botte. Il secondo modulo ospita tre cappelle di dimensioni irregolari e diversa profondità e sormontate da volte a botte con accenno di costoloni. Sul lato destro della terza cappella, un’arcata ogivale e angusta immette in un vano irregolare, come già detto forse l’alloggio del custode della chiesa. La cappella centrale,la meno profonda, è incorniciata da un arco scavato nel tufo ed è affrescata con le storie di Santa Margherita. Questa, con la cappella a sinistra del primo modulo, presenta un altare soprelevato parallelepipeda, un altorilievo legato al tufo della parete, mentre due sedili di pietra corrono lungo il perimetro delle cappelle.
Nella parte più esterna un Trionfo della Morte di fattura molto tarda tiene in vita ulteriori discussioni circa l’identità delle figure aristocratiche rappresentate che rinvierebbero a Federico II e alla corte sveva.
A poche centinaia di metri da qui, sorge la chiesetta di Santa Lucia. Gli affreschi trecenteschi raccontano vita e martirio della santa, ma una spelonca alla sinistra della chiesa è tagliata all’interno da due muri denuncia l’esistenza di una grande cripta monastica non affrescata, in attesa di studi e rilievi archeologici.