Puglia e Basilicata traboccano di turisti, ma questi flussi lasciano sui territori poca ricchezza perché gran parte dei viaggiatori soggiorna in seconde case o in camere prese in affitto, anziché negli alberghi. È quanto emerge dalla ricerca realizzata da Sociometrica e firmata dal suo direttore, l’economista Antonio Preiti. Lo studio è intitolato «La ricchezza dei comuni turistici - Ranking secondo la creazione di valore aggiunto» e chiarisce che nel nostro Paese è assai difficile calcolare l’apporto del fenomeno turistico alla ricchezza nazionale. Sarebbe meglio valutare - si suggerisce - l’«economia dell’ospitalità» o l’«Industria dell’ospitalità», giacché a livello statistico «nella contabilità nazionale non esiste un settore “turismo” propriamente detto, ma sono computate solo la parte alberghi e ristorazione e la parte relativa alle agenzie di viaggio. Non c’è perciò un calcolo onnicomprensivo che dia conto della dimensione economica generale che il fenomeno induce». E questo avviene «per evitare le duplicazioni nella contabilità nazionale. Ad esempio, se si conteggia nella spesa turistica anche il viaggio, allora si dovrebbero togliere quelle poste dalla categoria generale dei trasporti. Siccome molte spese “turistiche” non hanno un elemento caratteristico (se escludiamo appunto la spesa per il soggiorno e gli eventuali servizi delle agenzie di viaggio), e tuttavia esistono, perché non ci sarebbero in assenza del fenomeno turistico, allora la soluzione è il calcolo del “conto satellite del turismo”, vale a dire un conteggio che aggiunga alla parte caratteristica la quota-parte attribuibile al turismo nei settori non caratteristici (es. trasporti, servizi ospitali e culturali di vario tipo, servizi legati alle attrazioni (noleggi, impianti di risalita, guide, commercio e altre)».
Partendo da questa premessa e puntando la lente di ingrandimento sul livello comunale, Sociometrica svela «quali sono i comuni che apportano il maggior contributo alla ricchezza nazionale nel turismo; quanto la presenza del turismo contribuisca a elevare il reddito sia complessivo che procapite nei singoli comuni e quanto sia molto più promettente, dal punto di vista economico generale, quando nella destinazione prevale la dimensione alberghiera piuttosto che quella delle case in affitto».
la «top 100» e la «top 10» Il dossier stima per il 2022 un «valore aggiunto complessivo del turismo di 89,1 miliardi di euro» (con una riduzione del 10,8% rispetto ai 99.903 milioni di euro stimati dal conto satellite del 2019). La ricerca si concentra sui primi 500 comuni dei 3.390 valutati dall’Istat come turistici, «ovvero che abbiano una qualche attività turistica». Ed emerge come Roma, Milano, Venezia, Firenze, Rimini e Napoli sono - in ordine decrescente - i comuni italiani che generano più ricchezza grazie al turismo, con Roma che genera 7,6 miliardi di euro e Napoli quasi 1,4. Al settimo posto si trova San Michele al Tagliamento il piccolo comune veneto (11.542 abitanti) che da solo riesce a produrre circa 1,3 miliardi di euro.
La prima località pugliese che entra nella classifica delle «top 100» è Vieste che è 31esima e produce 403 milioni di euro, seguita a breve distanza da Bari che è 34esima e, grazie al turismo, di milioni nel produce 362. Ostuni è 48esima (290 milioni), Gallipoli 52esima (275 milioni), Lecce è 56esima (269 milioni), Porto Cesareo è 82esima (219 milioni), Ugento è 86esima (209 milioni), Otranto è 88esima (204 milioni), Monopoli è 90esima (201 milioni). Come si vede, quindi, la Puglia è poco presente tra le località che generano ricchezza grazie al turismo e luoghi come Matera e Polignano a Mare non sono tra le prime cento per Pil prodotto. In compenso, secondo le stime Sociometrica, la Puglia piazza ben quattro località tra le dieci destinazioni con maggiore percentuale di «presenze non osservate rispetto a quelle ufficiali», cioè quelle dove la vacanza si fa prendendo in affitto una seconda casa o una camera in un’abitazione residenziale, ovvero: Porto Cesareo, Ostuni, Nardò e Gallipoli. Come si spiega? «La Puglia è molto in alto tra le destinazioni prescelte - spiega Preiti alla Gazzetta - ma moltissimi vanno in case in affitto, così si giustifica la bassa produzione di reddito collettivo e l’alta presenza tra le seconde case. Le case, infatti, non rendono lo stesso beneficio per la collettività, perché il reddito che producono è piuttosto una rendita dei proprietari. Mentre un albergo fa girare tutta l’economia, perché ci sono i dipendenti, c’è chi fa l’accoglienza, chi la comunicazione, chi porta i surgelati. Nella casa in affitto cosa c’è? A parte la pulizia, quasi niente».