Ha lottato come un leone il “barbaro sognante” Roberto Maroni: fino a ieri, per il federalismo, per una Lega di governo e sindacato del Nord, ma anche per inserire a pieno titolo nell’«ideologia italiana» la vocazione autonomista dei territori, senza rompere il perimetro dell’unità nazionale. L’ex ministro del Carroccio è morto a 67 anni dopo una lunga malattia e tutta la politica italiana si stretta intorno ai suoi familiari per esprimere sincero cordoglio.
Il «leghista più sudista», ben prima della svolta nazionale di Matteo Salvini, era proprio il politico di Varese, che aveva un rapporto speciale con la Puglia e con Giuseppe Tatarella. Insieme al leader missino era stato nel primo governo Berlusconi, entrambi vicepremier: in quel matrimonio di interessi (Lega e Msi erano avversari nei collegi uninominali del Nord nel 1994) scoprirono tanti elementi di affinità, a partire da una naturale propensione alla composizione dei conflitti.
Bobo e Pinuccio si conoscevano dal 1992. Il visionario di Cerignola colse subito la brillantezza del pensiero del giovane lombardo e gli presentò la sua profezia, passeggiando in Transatlantico: «Senti a me, dobbiamo metterci insieme per sconfiggere il Caf». La Dc era ancora egemone, ma Tangentopoli in pochi mesi ribaltò ogni schema e gli antisistema, saldati dal mastice di Silvio Berlusconi, arrivarono a Palazzo Chigi. Il governo però stentava a nascere. E così Maroni ricordò, in un evento a Roma in memoria di Tatarella, come avvenne la sintesi: «Mise in una stanza per saldare l’“alleanza strana” due professori, Domenico Fisichella e Gianfranco Miglio. Avevano il compito di far conciliare i due capisaldi dei programmi dei nostri partiti: federalismo e presidenzialismo. Due accademici insieme, iniziarono a litigare, pure in sanscrito. Allora chiamai Pinuccio per segnalargli lo stallo. Lui entrò in sala, ringraziò i due e disse: «Abbiamo l’accordo”, spiazzando tutti…».
Anche dopo la caduta del primo governo Berlusconi, l’amicizia tra Bobo e Pinuccio non si incrinò. Fu invitato a Bari, e i due cenarono sulla panoramica terrazza Murat dell’Hotel Palace. Un leghista e un missino, a tavola, «tra fave e cicorie e orecchiette alle cime di rape», ricorda Michele Roca, stretto collaboratore de «le renard». Del resto uno dei loro primi pranzi avvenne, su invito di Pinuccio ricostruito dal varesino con questa sequenza: «vieni nel mio ristorante», «quale?», «I due ladroni…». Nel capoluogo pugliese parlarono anche di politica, ma soprattutto di armonia e musica. Il primo amava la musica del sax, il secondo era sempre accompagnato, oltre che dalla moglie-filosofa Angiola, dalle note jazz del maestro Paolo Lepore. Il sodalizio proseguì anche nella bicamerale (affossata grazie alla loro intesa). Ricordò proprio in un colloquio con la «Gazzetta» lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco: «Il ritratto di Tatarella è da sempre nell’ufficio del governatore Roberto Maroni. Pinuccio aveva un tavolo permanente con il mondo leghista. Berlusconi litigava con Bossi, Tatarella no. La forza di Pinuccio era far germogliare le sue idee anche altrove».
Il mantra di Maroni era un governismo che temperata gli eccessi dalla sua parte politica (il bossismo ha avuto una ruvida declinazione secessionista): «Io credo - spiegava nel 1994 - in una Lega di governo, in una Lega che per realizzare le cose per cui è nata può rinunciare a qualcosa sul piano dell’identità. Bossi no, Bossi è convinto di dover puntare sull’identità, e di poter far discendere da quella una politica. Non sono d’accordo: e non posso che auguragli buona fortuna».
Di Maroni si ricorderanno tante battaglie: quelle garantiste contro la Legge Mancino; l’introduzione di una spiccata sensibilità sociale nel cuore leghista (da ministro del welfare) al punto che gli operai al nord sono una dei blocchi sociali da vent’anni del Carroccio; la segreteria del partito dopo lo scandalo Belsito; l’equilibrio con cui ha gestito l’incarico al Viminale (con uno stile ben differente da quello populista del leader Matteo Salvini). Del suo percorso restano anche i primi decreti sicurezza che avevano illuminate intuizioni sull’immigrazione e sulla lotta allo spaccio di stupefacenti. Si deve a lui anche la controversa introduzione della “tessera del tifoso”, per allontanare i violenti dagli stadi.
Negli ultimi anni Maroni, dopo aver guidato la Lombardia come governatore, aveva scelto di ritirarsi. Curava una rubrica periodica su «Il Foglio», intitolata «Barbari Foglianti». Ogni tanto girava l’Italia per spiegare la compatibilità dell’autonomia differenziata con le recenti prospettive riformiste. Andava d’accordo con eretici come l’ex sottosegretario destrorso pasquale Viespoli. Non aveva pregiudizi. Nel 2019 l’allora ministro Francesco Boccia lo invitò a diventare componente della Commissione del Governo Conte 2 sulla corretta attuazione dell’autonomia. Racconta il politico pugliese: «Accettò, senza farsi condizionare dal diverso orientamento politico dando a tutti una lezione di stile, umiltà e senso dello Stato». Ora non è solo nel Pantheon della Lega, ma anche in quello nazionale, accanto a chi - come Tatarella - cercava di costruire un’Italia migliore oltre gli steccati.