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Serbi via dalle istituzioni del Kosovo

 
Marisa Ingrosso

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Marisa Ingrosso

Serbi via dalle istituzioni del Kosovo

Colloqui di Vucic con Russia e Cina. Il premier Kurti: prima Milosevic ora Putin. Tajani: fermatevi

Domenica 06 Novembre 2022, 12:57

Altissima tensione Serbia-Kosovo, pace in bilico nei «vicini» Balcani. Ufficialmente come ritorsione per una legge non gradita, i serbi ieri hanno attuato il boicottaggio degli accordi su cui si regge la convivenza interetnica del Kosovo e hanno abbandonato organismi e istituzioni kosovare, mentre magistrati e agenti hanno rassegnato le dimissioni. Il presidente del partito Srpska Lista, Goran Rakić, s’è dimesso dalla carica di ministro nel governo guidato da Albin Kurti. Da una parte e dall’altra, inoltre, si rincorrono notizie di spostamenti di uomini e mezzi al confine. Lo «strappo» - riporta RTKlive - è maturato nel corso di un’assemblea fra i rappresentanti serbi che si è svolta a Zvečan è una città del nord del Kosovo, nel distretto di Kosovska Mitrovica.

Oggi sono sei giorni che è iniziata la prima fase dell’introduzione della nuova legge voluta da Pristina che, in regime di reciprocità con quanto fa Belgrado, prevede che anche i serbi che risiedono nel piccolo Paese (a maggioranza albanese) debbano avere documenti e targhe automobilistiche kosovari. In questa prima fase, che durerà fino al 21 novembre, la Polizia alla frontiera si limita a informare gli interessati che dovranno adeguarsi alla normativa. Soltanto in seguito (da gennaio ad aprile 2023) le targhe “illegali” saranno sostituite e le auto reimmatricolate. Dal 21 aprile, la circolazione di veicoli con targa “illegale” non sarà più permessa.

Per i serbi tutto ciò è semplicemente inaccettabile. Venerdì il presidente serbo Aleksandar Vucic ha annullato tutti i suoi impegni all’estero e l’agenda dei suoi successivi incontri delimita bene il “perimetro” geopolitico in cui questa nuova crisi sta vedendo la luce. Venerdì, infatti, Vucic ha incontrato l’Unione europea (l’inviato speciale Ue Miroslav Lajcak), mentre ieri ha avuto una riunione con Cina e Russia (i rispettivi ambasciatori), e poi col patriarca Porfirije e i componenti del Sinodo della Chiesa ortodossa serba.

La Serbia è - volente o nolente - legata a triplo filo con le dinamiche russe, lo è su un piano storico, economico e politico-religioso. Dopo una guerra sanguinosa (negli anni Novanta), e la pulizia etnica voluta dal presidente serbo Slobodan Milošević, il Kosovo nel 2008 ha proclamato la propria indipendenza, mai riconosciuta da Belgrado. Un’indipendenza riconosciuta tecnicamente legale dall’Onu che, dal 1999, sostanzialmente fa da sommo garante dell’amministrazione pacifica del Paese (la Repubblica parlamentare è sotto protettorato internazionale). Braccio operativo dell’Onu è la Nato che garantisce gli assetti militari internazionali in seno alla missione Kfor-Kosovo Force che, con 3.700 militari impiegati, è la missione più consistente della Nato e l’Italia è il Paese che maggiormente contribuisce (è presente lì anche la compagnia di fanteria di Marina della Brigata San Marco di Brindisi). Anzi, per dirla tutta, dal mese scorso il nostro Paese ha la guida della missione (il comandante è il generale di Divisione Michele Ristuccia).

Circa il boicottaggio dei serbi, ieri il premier Kurti li ha invitati a rivedere la loro decisione. Sulla sua pagina Facebook ha affermato: «Belgrado ha messo in moto minacce e preparativi per destabilizzare il Kosovo. La Serbia, non essendo un Paese democratico, sta diventando uno strumento del Cremlino», ha osservato il premier, ricordando gli stretti legami avuti in passato dal presidente serbo Vucic e dal ministro degli esteri Ivica Dacic con il regime di Milosevic. «Sostenendo Milosevic allora si dovette lasciare il Kosovo, sostenendo Putin e Lavrov oggi, si lascia l’Europa», ha scritto Kurti.
Mentre su Twitter il ministro Antonio Tajani ha espresso la propria preoccupazione rivolgendo a Belgrado e Pristina «un appello alla moderazione e al dialogo».

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