Alfonsina Strada, Cristina Trivulzio di Belgiosio, Oriana Fallaci e Nilde Iotti. Grazia Deledda e Maria Montessori, Mariagrazia Cutuli, Samantha Cristoforetti e Marta Cartabia. La prima donna presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dà subito un timbro rosa al suo discorso alla Camera evocando «italiane illustri» come modello di partecipazione nello spazio pubblico e ennesimo colpo al pregiudizio delle femministe più faziose. E il suo racconto politico programmatico diventa così una tela intessuta di richiami culturali e simbolici che intarsiano l’impianto del neo-patriottismo di governo.
Non ci sono le evocazioni dei capisaldi del melonismo ante-Palazzo Chigi (ovvero i riferimenti a J.R.R. Tolkien e Ernst Jünger) ma la linea visionaria resta su quelle coordinate, dove l’italianità è presentata come identità e radici. C’è il passaggio su giovani del Risorgimento e su «le donne e gli uomini delle nostre Forze Armate», salutati con un pensiero netto: «La Patria vi sarà sempre riconoscente». Colpisce il richiamo all’Italia come «la nave più bella del mondo», le stesse parole usate dai militari Usa ammirati della nostra nave «Amerigo Vespucci».
Leader del conservatorismo europeo, ha puntualizzato i capisaldi ideologici, tra riformismo e sovranità, quest’ultima categoria presentata nell’accezione costituzionale e popolare (il presidenzialismo), nella visione della sicurezza tecnologica (cloud e infrastrutture digitali di Stato) e alimentare (difesa delle produzioni agricole e enogastronomiche italiane).
La sensibilità laburista ritorna sia nel rivendicare un impegno contro le morti bianche (con il ricordo del diciottenne Giovanni De Seta) che nel dare segnali per evitare il dramma dell’emigrazione giovanile. L’Italia ferita dai terremoti ha trovato spazio nella vicinanza ai marchigiani colpiti dall’alluvione («non vi abbandoneremo»)
La transizione green è temperata negli eccessi alla Greta da una citazione del pensatore conservatore Roger Scruton: «L’ecologia è l’esempio più vivo dell’alleanza tra chi c’è, chi c’è stato, e chi verrà dopo di noi». Del resto la sensibilità ambientalista è un caposaldo del melonismo, anche grazie alla condivisione del percorso politico con Paolo Colli, fondatore dell’associazione identitaria «Fare Verde», scomparso nel 2005.
La questione giovanile non poteva mancare, essendo stata la Meloni animatrice del coordinamento studentesco de «Gli Antenati», già nel 1996: se i ragazzi devono essere «affamati e folli», l’appello è a essere anche «liberi». Ma i fatti di ieri, con la contestazione alla Sapienza da parte dei collettivi verso un evento di Gioventù nazionale, fa subito ritornare in auge vecchi schemi della contrapposizione di piazza.
La dicotomia fascismo-antifascismo è declinata in un passaggio sulla libertà come «elemento distintivo della civiltà occidentale», con l’appendice della rivendicazione di una accezione antitotalitaria figlia delle letture del filosofo francese Alain de Benoist. Qui, a differenza dell’equidistanza espressa da Ignazio La Russa a Palazzo Madama, ha ricordato il sacrificio dei ragazzi di destra, come il milanese Sergio Ramelli, vittime della «criminalizzazione e della violenza dell’antifascismo militante».
Nella parte finale del discorso, nel duro passaggio contro le mafie, ha rivendicato l’impegno civile che si materializza ogni anno nella fiaccolata a Palermo per Paolo Borsellino, magistrato, eletto con la destra del Fuan-Fanalino nei parlamentini studenteschi, senza dimenticare gli altri eroi come Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Libero Grassi.
«Ci piacerebbe recuperare un ruolo strategico nel Mediterraneo»: la geopolitica meloniana guarda a Sud, all’Africa sulla linea della costruzione di relazioni sulla «reciproca convenienza» codificata dal fondatore dell'Eni Enrico Mattei (e qui c’è una sottintesa dissonanza con il profilo coloniale e invasivo dei cugini d’Oltralpe, già criticati per l’uso disinvolto del Franco africano…).
Cita infine Giovanni Paolo II nella conclusione, con parole sovrapponibili a quelle tolkieniane di Frodo, quando afferma di «aver il diritto di fare quello che sia deve» per la nazione. Ovvero la missione di una «underdog”, che sfidando un Paese dall’ascensore sociale bloccato, dalla Garbatella ha conquistato Palazzo Chigi. Stravolgendo i pronostici e consegnando un esempio di riscatto a chi non si arrende alla marginalità come destino.