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Governo Meloni, infuria il dibattito: ma è «il» o «la» presidente?

 
Alessandra Colucci

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Alessandra Colucci

Governo Meloni, infuria il dibattito: ma è «il» o «la» presidente?

La declinazione al femminile (battaglia portata avanti negli ambienti del centrosinistra) non interessa a Giorgia Meloni che ha chiarito subito: «Sarò il presidente del consiglio»

Martedì 25 Ottobre 2022, 10:37

BARI - La scelta di Giorgia Meloni di farsi chiamare «il presidente del Consiglio», con declinazione al maschile, sta animando il dibattito politico, incontrando riscontri favorevoli, ma anche critiche.

Una donna che si è trovata davanti allo stesso dilemma, facendo una scelta diversa è Loredana Capone, presidente del Consiglio regionale pugliese ovvero la seconda carica istituzionale della Regione. Nel 2020, scelse di farsi chiamare «la» presidente e oggi sottolinea come «ognuno è libero di farsi chiamare come ritiene. Ma la lingua italiana è bellissima e offre la possibilità di declinare sia al maschile che al femminile. Perché sacrificarla nell’uso di un unico genere? Meloni è la prima Presidente del Consiglio: a me continuare a usare il genere maschile per identificarsi – spiega - sembra un controsenso. Un modo per appiattirsi sull’altro sesso togliendo non solo la differenza di genere ma anche l’immediata riconducibilità di un ruolo così importante alla donna che lo interpreta in questo momento e prima volta nella storia d’Italia. Io – continua - penso che dovrebbe essere un orgoglio dire “sono la Presidente del Consiglio”. Almeno, per me lo è, e lo è soprattutto per il messaggio che in questo modo riusciamo a lanciare alle nuove generazioni: un messaggio di speranza per tutte le donne».

Stessa scelta, è stata fatta dalla presidente della commissione Pari opportunità del Comune di Bari, Silvia Russo Frattasi che, commentando la scelta di Meloni, parla di «occasione persa». «Non è solo una questione di uso perché è politicamente corretto – precisa – il linguaggio influenza una serie di ambiti ed è il mezzo migliore per rispettare il genere diverso, per non essere sessisti, è inclusivo. Dobbiamo fare in modo che per le future generazioni diventi naturale, spontaneo».

Pragmaticamente, Daniela Mazzucca, unica donna diventata sindaco di Bari, puntalizza che giudicherà «Meloni per quel che farà e non per i suoi outfit o per la vocale davanti al suo ruolo. È Presidente del Consiglio, eletta democraticamente e va rispettata. Si rifletta di più sulle ragioni della sconfitta a sinistra, sul perché raramente si riesca ad eleggere una donna ai vertici di un partito, di una Regione o una agenzia pubblica».

Particolarmente critica con Meloni è stata l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, da sempre in prima linea in difesa del linguaggio di genere, che ha tirato in ballo la Treccani e alla quale risponde Francesca Messina, componente della direzione regionale lucana di FdI che sottolinea come «al di là di quello che dice la Treccani, credo innanzitutto sia una questione di rispetto rivolgersi prima al ruolo e poi alla persona, anche per questo sono sempre più convinta che vada bene il maschile».

La pensa così anche la collega pugliese di partito Stella Mele: «Con l’elezione del presidente Meloni – sottolinea - si rompe definitivamente un tabù e a romperlo non è quella parità dei sessi storicamente cara alla sinistra, bensì la concretezza e il coraggio della destra. Meloni è consapevole che il primato di una donna non si misuri da desinenze o dal genere degli articoli, ma da come agisce».

Lapidaria anche la parlamentare uscente della Lega Annarita Tateo: «Non è l’uso di un aggettivo o di un sostantivo al femminile che aiuta le donne ad affermarsi nei diversi campi».

Ma quale impatto avrà, sulla comunicazione politica, la scelta di Meloni? Giovanni Sasso, direttore creativo di Proforma, autore di numerosissime campagne elettorali, non ha dubbi: «La scelta di Meloni mi pare un po’ provocatoria. “Presidente” è un sostantivo che, derivando da un participio presente (presidente è infatti chi presiede), contiene già entrambi i generi senza alcuno stravoglimento o forzatura lessicale. “La presidente”, dunque, a me parrebbe più consono. Detto questo, mentre noi “de sinistra” abbiamo trascorso gli ultimi anni ad accapigliarci sulla schwa e sul maschile sovraesteso, lei ha portato il suo partito dal 4% al 26% e ora presidente è lei. E ha tutto il diritto di scegliersi l’articolo determinativo che più la rappresenta» chiosa.

«Lei può scegliere di farsi chiamare come vuole ma con questo suo atteggiamento interpreta la cultura patriarcale che l'ha portata ad essere la prima donna presidente del Consiglio. La questione linguistica non è fondamentale ma c’è il femminile di presidente», il commento di Antonella Giosa, componente del direttivo regionale di Articolo 1 e responsabile del coordinamento donne Anpi Basilicata.

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