Francesco Paolo Sisto, esponente di FI e sottosegretario alla Giustizia, candidato all’uninominale Senato Puglia 02 (Bat-Altamura), su cosa insiste la sua campagna elettorale?
«Sull’idea che professionisti e imprese siano il punto di partenza per la rigenerazione del sistema Paese».
Iniziamo dai primi. In queste ore tiene banco la questione dell’equo compenso.
«È una battaglia che mi sta molto a cuore perché tocca milioni di professionisti e soprattutto riequilibra il rapporto fra cliente forte e professionista debole, evitando il caporalato della professione: le tariffe vanno rispettate, sempre».
Il provvedimento era quasi passato...
«Sì mancava solo un passaggio al Senato ma la crisi di Governo ha bloccato tutto. Per questo ho lanciato un appello, al senso di responsabilità “a prescindere”, per portare a casa un provvedimento necessario».
Quanto alle imprese?
«Battendo il mio collegio palmo a palmo, in una campagna vecchio stile, densa di rapporti “occhi negli occhi”, è emerso con prepotenza il tema agricolo ingiustamente considerato minore. Ci sono realtà straordinarie che però soffrono due problemi cruciali: l’acqua e l’energia».
Sul secondo infuria la polemica: come si risolve?
«Serve un immediato aiuto dal Governo e poi, nel medio e lungo periodo, un percorso verso l’indipendenza energetica: non solo rinnovabili ma anche rigassificatori e nucleare di quarta generazione».
Il tema dello sviluppo porta con sé quello dell’autonomia differenziata: un processo da agevolare o da contenere?
«È il tema che declina la nuova questione meridionale. L’autonomia è contemplata dalla Costituzione ma deve essere temperata dalla garanzia degli stessi servizi. Prima parificare Nord e Sud, poi, eventualmente, differenziare».
Veniamo alla politica più stretta. Preoccupati dalla concorrenza del Terzo Polo?
«Guardi, l’originale è sempre meglio della brutta copia. È una formazione di sinistra, che nasce e vive nella sinistra e con un Renzi che si inabissa per evitare di essere percepito. È un polo nato sgonfio, residuale. Non è un’alternativa ma un riparo per transfughi».
Due vostre ex ministre, però, Carfagna e Gelmini, lo hanno scelto come nuova casa politica.
«Dopo l’euro, l’ingratitudine è la moneta più diffusa. Una griffe negativa che, per chi conosce la generosità di Berlusconi, è difficile da cancellare».
La vostra coalizione è molto schiacciata a destra, complici i numeri annunciati della Meloni. Non vi preoccupa nemmeno questo?
«Si chiama centrodestra perché esiste anche una componente di centro che è FI. E se si legge il programma della coalizione se ne percepisce il perfetto equilibrio. Noi siamo una forza moderata, garantista, europeista, dialogante. Siamo il partito della Costituzione: rispetto alla tanto abusata “agenda Draghi”, sventolata come se non l’avessimo scritta anche noi, proponiamo il rispetto dell’agenda Costituzione».
A proposito di Draghi, l’ex Bce ha guidato una stagione, seppur breve, in cui lei è stato protagonista. Un bilancio?
«La riforma del processo penale, del processo civile, dell’ordinamento giudiziario, le norme a tutela della presunzione di innocenza, la grande mole di lavoro su polizia ed edilizia penitenziaria, le tariffe forensi aggiornate dopo 8 anni di immobilismo. E ancora l’edilizia giudiziaria con la riattivazione del percorso che porterà alla costruzione del Parco della Giustizia di Bari, che dormiva da anni, il raddoppio del palazzo di Via Dioguardi. Una nota territoriale di cui vado fiero: grazie all’impegno del sottoscritto e dei colleghi avvocati abbiamo riaperto l’ufficio del giudice di pace a Gravina, chiuso per intollerabili inerzie della vecchia amministrazione. Ecco, se penso a tutto il lavoro che è stato fatto, pur con la continua necessità di mediare, non posso che rilevare la positività di tanti traguardi».
E tuttavia questa è una stagione che avete contribuito a superare.
«La responsabilità governo Draghi è stata del M5S. È comunque arrivato il tempo di un governo politico legittimato dai cittadini con competenze e idee chiare. Ci sono in giro progetti horror, incommentabili. Se penso alla patrimoniale di Letta rabbrividisco. Serve una svolta liberale e libera. Ne siamo e ne saremo capaci».