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«L’esecutivo ha trattato con sufficienza i 5S»: parla il politologo Ignazi

«L’esecutivo ha trattato con sufficienza i 5S»: parla il politologo Ignazi

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

«L’esecutivo ha trattato con sufficienza i 5S»: parla il politologo Ignazi

«Il momento populista non è finito. Quel vento soffia per la Meloni»

Giovedì 14 Luglio 2022, 13:18

Piero Ignazi, politologo dell’Università di Bologna, il governo Draghi potrebbe arrivare ai titoli di coda per lo strappo dei 5S. Epilogo inevitabile?

«A mio avviso sì, perché il governo ha sempre considerato con sufficienza il M5S, come se fosse una specie di peso da portare, costretto a tenerne conto. Non c’è mai stato feeling. Il feeling al massimo era tra Draghi e Grillo, non con Conte né con i pentastellati. Non c’è stato un solo provvedimento di riferimento del governo che ha fatto riferimento al primo partito della maggioranza».

L’appoggio di Grillo al governo Draghi…

«Ha causato la prima corposa scissione tra i pentastellati, con alcuni che si sentirono presi in giro e andarono via».

L’empatia tra il garante 5S e l’ex presidente della Bce da cosa scaturiva?

«È legata all’idea di un impegno sulla transizione ecologica, pallino di Grillo da molti anni».

Le ultime istanze del M5S - superbonus, salario minimo, no al termovalorizzatore -, codificate in un emendamento al Dl Aiuti al Senato in che area politica consentono di incasellare il Movimento?

«Sono stati protagonisti dell’innovazione del Superbonus, hanno attivato una ripresa economica rapida, legata al settore delle costruzioni. Hanno favorito anche il ceto piccolo e medio che possedeva le seconde case e le villette, dove ci sono anche sacche di abusivismo. È stato un po’ populista come atteggiamento quello grillino. Quindi collocherei il M5S nella tradizione populista».

La scissione di Di Maio?

«Non ha effetti. Priva di valore, non avrà conseguenze politiche. Difficile codificarla».

«Insieme per il futuro» vorrebbe aderire al partito europeo del premier francese Macron.

«Va con Macron? Auguri. Di Maio è ministro degli Esteri, attivo in questa fase, senza demeritare: è una persona intelligente, parla bene l’inglese, contrariamente a Renzi che sembra Sordi in “Un americano a Roma”. Di Maio si smarca da una bad company, e si proietta “verso il suo futuro personale”, che sarà luminoso, perché è lucido e scaltro».

Il premier Mario Draghi si è detto indisponibile a guidare una nuova maggioranza.

«Vedremo. Bisogna riscontrare il comportamento in aula al Senato dei 5S. E come verrà valutato l’esito: come uno strappo o meno».

La maggioranza resterebbe con numeri sufficienti ad andare avanti anche senza i grillini.

«Draghi ha “ricattato” Conte dicendo che senza i 5S va via. Ma se ci fosse l’uscita dal governo non si verificherebbero aggregazioni posticce. Il premier avrebbe la stessa maggioranza, ma senza un pezzo».

La palla passa al presidente della Repubblica Sergio Mattarella?

«Sono passate troppe palle a Mattarella. C’è stato un eccessivo interventismo del Quirinale in questa legislatura, soprattutto in quest’ultima fase, quella draghiana».

Salvini e Letta sono per le elezioni anticipate.

«Anche la Meloni. È una via che doveva essere percorsa già nel settembre del 2019, ma c’è stato un clamoroso cambio di maggioranza, un cambio “al limite”. Idem prima del governo Draghi».

Pandemia, guerra e crisi economica spingono qualcuno a considerare inopportuno il ritorno alle urne.

«Non si può avere paura del voto. La paura del popolo è uno dei difetti maggiori presente nelle classi politiche italiane degli ultimi anni. Si sente diffidenza dell’establishment, perché si interpreta il popolo come qualcosa che va ammaestrato. Tornare alle urne è quanto di più normale nelle democrazie. In Israele si va verso le quinte elezioni in soli tre anni e mezzo».

Il “momento populista”, con la crisi dei 5S e il calo di consensi della Lega, può dirsi finito?

«Si è ridotto di intensità, ma non è terminato. Adesso il vento populista soffia per la Meloni. Qualcuno si sta rendendo conto del regalo fatto a Fdi lasciando la destra sola all’opposizione. Lo stesso schema si è verificato in Germania, dove il patto Cdu-Spd ha alimentato il boom dei populisti di Afd».

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