BARI - Contratti di consulenza irregolari, spese per trasferte senza apparente giustificazione, premi stipendiali non consentiti. La condanna di luglio scorso sembrerebbe non aver insegnato niente. La Corte dei conti ha nuovamente bacchettato i gruppi politici del Consiglio regionale per la gestione allegra dei fondi pubblici: e in un caso, quello della lista «Popolari per Emiliano», la questione potrebbe avere risvolti penali.
I giudici della Sezione di controllo (presidente Enrico Torri) hanno notificato a tutti i capigruppo richieste di chiarimenti relativi ai bilanci del 2021. Le richieste, che scadono in questi giorni, riguardano vari aspetti ma in particolare quello oggetto delle condanne dello scorso anno: cioè le consulenze generiche (scollegate dal funzionamento dei gruppi) fatte passare in bilancio sotto la voce spesa per il personale. Una questione tecnica, ma con un impatto pratico rilevante perché i gruppi politici hanno a disposizione 53mila euro a consigliere l’anno per le spese di funzionamento (in cui rientra il personale), ma solo 5mila per le consulenze. E dunque si tenta di far passare le seconde nel budget per le prime.
Il pasticcio più grande lo ha fatto Popolari per Emiliano, la lista dell’assessore Gianni Stea (gruppo di cui fino a poco tempo fa faceva parte anche l’altro assessore Sebastiano Leo) di cui oggi è capogruppo Massimiliano Stellato. Ha infatti dichiarato alla Corte dei conti di aver stipulato a inizio legislatura 16 contratti di consulenza senza averli però mai pubblicati sul sito (come impone la legge): sono tutti amici della politica, ex candidati come ad esempio l’ex sindaco di Bisceglie, Francesco Spina. A parte la mancata pubblicazione, il problema è che a marzo scorso tutti i contratti di consulenza sono stati oggetto di «risoluzione consensuale per refuso», aggiungendo una clausola di specificazione in base a cui tutti i contratti si riferivano a «attività lavorativa (segreteria) di supporto alle esigenze del Gruppo». Gli avvocati sono insomma stati trasformati in segretarie, nonostante abbiano prodotto (e siano stati pagati) «fatture per consulenza giuridica (con indicazione di diritti e onorari, rimborso spese forfettarie, contributo cassa professionale».
Il motivo è intuibile: quando hanno capito di aver stipulato troppe consulenze, i Popolari hanno provato a riclassificarle come segreteria (che rientra tra le spese di personale). Per questo i giudici contabili hanno chiesto «di trasmettere la relazione sulle attività in concreto svolte da ciascun collaboratore» e «ulteriori riscontri e prova documentale in ordine alla prestazione effettivamente svolta». Il sospetto - la falsità delle dichiarazioni - è chiaro: se dovesse essere confermato, le carte finirebbero dritte alla Procura ordinaria.
Ai Popolari, i giudici contabili hanno contestato anche i rimborsi spese: scontrini di consumazioni fatti in stazioni di servizio della provincia di Roma. Tra i collaboratori contrattualizzati c’è ad esempio Michele Mazzariello, segretario del movimento Taranto Popolare che fa capo a Stea: il gruppo politico gli ha pagato «trasferte quasi quotidiane per circa 200 km».
Nella maggioranza anche il gruppo «Con» ha fatto qualche pasticcio: i 10 contratti di lavoro (non tutti pubblicati), secondo i giudici contabili sono in realtà consulenze. Nell’elenco c’è Michele Labalestra, ex sindaco di Palagianello, che avendo dichiarato «diversi procedimenti penali» potrebbe essere incompatibile. Stessa situazione più o meno nel Pd, dove però nel mirino finisce anche Gianni Paulicelli, l’autista del governatore Michele Emiliano: ha un contratto interinale «con retribuzione lorda mensile di euro 3.193,12», ma ci sono discrepanze sul compenso orario dichiarato ed è stato rilevato un «salario accessorio» di 5.400 euro, più alto del consentito. E poi ci sono i grillini. Anche loro hanno fatto passare per spese di personale le consulenze con gli avvocati, e hanno concesso generosi rimborsi: treni Bari-Roma, rimborsi chilometrici, taxi. Problemi simili anche nel rendiconto di Fratelli d’Italia e Puglia Domani, mentre alla Lega è contestato il contratto stipulato con una società di pubbliche relazioni.