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«Navi e aerei alla Colombia» perquisito pure D’Alema: la pista salentina

 
Redazione inchieste

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«Navi e aerei alla Colombia» perquisito pure D’Alema: la pista salentina

L’inchiesta sull’affare da 4 miliardi partito dal Salento con due broker e un ex sindaco

Mercoledì 07 Giugno 2023, 07:09

BARI - Ci sono due faccendieri pugliesi, Francesco Amato ed Emanuele Caruso, al centro dell’indagine che ieri ha portato la Digos di Napoli a perquisire l'ex presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, l’ex ad di Leonardo, Alessandro Profumo, l’ex direttore del settore Navi di Fincantieri, Giuseppe Giordo, e il commercialista Gherardo Gardo, consulente di fiducia di D’Alema. L’inchiesta è quella che già lo scorso anno portò la Procura partenopea a perquisire i due pugliesi, sedicenti rappresentanti del governo colombiano in una trattativa per l’acquisto di navi ed aerei militari per 4 miliardi di euro. Una trattativa, poi sfumata, in cui D’Alema avrebbe fatto da mediatore con i due colossi di Stato.

Il decreto di perquisizione firmato dai sostituti Vincenzo Piscitelli e Silvio Pavia consente di inquadrare un po’ meglio l’ipotesi di accusa di corruzione internazionale, per via di una «commissione» da 80 milioni di euro che sarebbe stata divisa tra italiani e colombiani. L’indagine vede il coinvolgimento anche di un’ottava persona, un altro pugliese, Giancarlo Mazzotta, l’ex sindaco di Carmiano che solo la scorsa settimana era tornato alla ribalta delle cronache per aver denunciato le pressioni ricevute dal giudice (arrestato) Pietro Errede. Mazzotta in questa storia è stato il tramite tra D’Alena e i due faccendieri. Amato, 39 anni, di San Cesario di Lecce ma residente in Spagna, e Caruso, 44 anni, di Copertino e residente a San Pietro in Lama, avrebbero presentato un mandato firmato da un esponente del governo colombiano insieme ad altre credenziali che, a successive verifiche, sarebbero poi risultate false.

È questa la ricostruzione fatta nel decreto di perquisizione, secondo cui Amato e Caruso «operavano quali consulenti per la cooperazione internazionale del Ministero degli Esteri della Colombia» e, «tramite Giancarlo Mazzotta, riuscivano ad avere contatti con Massimo D'Alema, il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo (ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri), si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane, ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giordo quale direttore generale della Divisione Navi Militari di Fincantieri». L’operazione mirava ad «ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le forniture e il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro». In questo quadro, secondo l’accusa, Amato e Caruso «offrivano e comunque promettevano ad altre persone, che svolgevano funzioni e attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio presso le autorità politiche, amministrative e militari della Colombia, il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro, corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro prevista quale “success fee”, determinata nella misura del 2% del complessivo valore di 4 miliardi di euro delle due commesse in gioco e da corrispondersi in modo occulto». Quegli 80 milioni erano «da ripartirsi tra la “parte colombiana” e la “parte italiana” attraverso il ricorso allo studio legale associato americano Robert Allen Law, con sede in Miami (segnalato ed introdotto dal D'Alema quale agent e formale intermediario commerciale presso Fincantieri e Leonardo) rappresentato in Italia e per la specifica trattativa da Umberto Bonavita e Gherardo Gardo», studio che avrebbe lavorato «per la predisposizione e la sottoscrizione della contrattualistica simulatoria e formalmente giustificativa della transazione finanziaria e dei veicoli societari, bancari e finanziari in concreto predisposti per il transito, la ripartizione e la finale distribuzione della somma». Ma l’affare non è andato in porto, secondo i pm «per l'intervenuta interruzione delle trattative a causa della mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della predetta somma tra le singole persone fisiche costituenti la “parte italiana” e la “parte colombiana”».

L’inchiesta esplose nel 2022 quando «La Verità» pubblicò una conversazione con D’Alema registrata dai due broker, in cui si faceva riferimento appunto alla provvigione da 80 milioni. A seguito del clamore, i due vennero denunciati per truffa, per aver utilizzato il nome di due organizzazioni internazionali cui in realtà risultavano estranei. Da qui l’avvio dell’inchiesta. 

LE DICHIARAZIONI DEL LEGALE: ESTRANEI, CHIARIREMO TUTTO

«Il mio assistito è assolutamente tranquillo anche perché siamo in presenza di una costruzione giuridica assolutamente ardita. Resa, inoltre, in virtù di una competenza territoriale a procedere che si fatica a comprendere». Lo dice l'avvocato Cesare Placanica, difensore di Giuseppe Giordo l’ex direttore generale della divisione navi di Fincantieri, sottoposto a perquisizione ieri nell'indagine della Procura di Napoli sulla presunta intermediazione per la vendita di armamenti alla Colombia.

Le parole di Placanica suggeriscono quella che, da tempo, è la linea di difesa dei protagonisti di una trattativa mai andata in porto: ovvero che dietro l’indagine ci possa essere una «trappola» studiata a tavolono. «Stupisce peraltro, in relazione a tale problematica, che malgrado il clamore della vicenda ci sia stata una sola procura della Repubblica su tutto il territorio nazionale che abbia ritenuto sussistente profili di rilevanza penale. Così seri da meritare, addirittura, un atto di perquisizione, inevitabilmente destinato a finire nel circuito mediatico. Sarà dimostrata assoluta infondatezza delle accuse».

Sulla stessa linea anche l’ex premier. «Il presidente D’Alema - fa sapere il suo legale napoletano, Gianluca Luongo - ha fornito la massima collaborazione all’autorità giudiziaria. Siamo certi che sarà dimostrata la più assoluta infondatezza dell’ipotesi di reato a suo carico». Tutto nasce, appunto, dalla registrazione finita sul sito del quotidiano «La Verità» in cui D’Alema spiega ad alcuni interlocutori l’obiettivo della trattativa con le due aziende di Stato: «Siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro».

L’ex premier all’epoca si è difeso in alcune interviste spiegando che, a fronte della segnalazione ricevuta dai due broker pugliesi indagati con lui, si sarebbe limitato ad avvisare gli ambasciatori dei Paesi coinvolti e poi informando Leonardo e Finmeccanica di un interesse della Colombia. «Io non ho alcun rapporto di lavoro né con Fincantieri né con Leonardo e non trattavo per conto di nessuno», spiegò all’epoca a «Repubblica». E ancora: «Io ho informato subito Leonardo e Fincantieri. Ho parlato con il direttore commerciale di Leonardo. E ho detto a questi signori colombiani che era necessario trovare una società seria per iniziare la discussione. Qualcuno rende pubblica la telefonata che aveva registrato in maniera illegittima. Per danneggiare le società italiane».

Nel marzo dello scorso anno, dopo le polemiche a mezzo stampa, il caso approdò anche in Parlamento con un terremoto nelle due grandi aziende pubbliche. Ci fu una interrogazione al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, da parte del segretario di Si, Nicola Fratoianni, e una indagine conoscitiva avviata dalla commissione Difesa del Senato.

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