Introdotto dal Governo di Matteo Renzi, sdoganato all'ultimo minuto da quello presieduto da Mario Draghi, piombato come un sasso su quello guidato da Giorgia Meloni alle prese con il pallottoliere dei conti pubblici tra inflazione e caro energia e con miliardi che ballano da una parte all'altra. Il payback, nei fatti, è una tassa introdotta con la manovra Finanziaria del 2015 per porre un limite al tetto di spesa dei dispositivi medici, a sua volta introdotto nel 2011 e rivisto al ribasso fino al 2014.
IL 50% DAL 2017 In pratica, fu stabilito che, in caso di sforamento del tetto da parte di una regione, una parte (pari al 40% nel 2015, al 45% nel 2016 e al 50% a decorrere dal 2017) della spesa in eccesso dovesse essere rimborsata dalle imprese fornitrici (ciascuna pro-quota verosimilmente in base all'incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa nella regione). Fatto sta che negli anni la tassa è rimasta dormiente fino a quando a settembre scorso, un decreto del ministro uscente della Salute ha rinvigorito il provvedimento fissando i parametri per i pagamenti dei primi 4 anni, dal 2015 al 2018. A conti fatti, si parla di una cifra che supera i 2 miliardi di euro, che arriva a 3,6 miliardi se si aggiunge il biennio 2019-2020.
LA TOPPA DEL GOVERNO - Rischio, per ora, superato dal decreto legge del governo di alcuni giorni fa che ha congelato il pagamento e, soprattutto, evitato la manovra di compensazione da parte delle Regioni nel trattenere le somme dovute dai pagamenti delle successive forniture.
Atti che avrebbe rappresentato un vero e proprio shock finanziario per le imprese, costrette a subire passivamente questa imposizione (retroattiva) , senza la possibilità di svincolarsi dai contratti pena la denuncia per interruzione di pubblico servizio. Ma anche il calcolo delle somme dovute sembra essere un terno al lotto. Il decreto del ministero della Salute di settembre (e ne è seguito uno anche a ottobre), in realtà ha definito il perimetro di calcolo che le regioni avrebbero dovuto utilizzare per quantificare le somme: alcune regioni non lo hanno fatto e quelle che lo hanno fatto, potrebbero aver determinato l'ammontare in maniera non del tutto corretta. Da qui una valanga di contenziosi che stanno continuando ad affogare il Tar Lazio.
IL CONTO IN PUGLIA - La Puglia è una delle regioni che a metà dicembre ha fatto il suo «dovere» e ha pubblicato la determina dirigenziale con l'elenco delle 1.487 aziende fornitrici a cui è stato presentato un conto di oltre 246 milioni di euro (246.782.447,75 per l'esattezza). Si tratta in gran parte di piccole e medie imprese, e si passa dalle poche centinaia di euro fino a diversi milioni di euro. Nella top ten c’è la Serenity (ex Artsana sud), leader nei pannoloni che dovrebbe pagare oltre 14,3 milioni di euro, seguita da Johnson & Johnson medical (13,7 milioni) e Medtronic Italia Spa (10,5 milioni). Se si guarda il dato proiettato anche per il biennio 2019.2020, solo per la Puglia il conto lieviterebbe a 391 milioni.
La Basilicata, invece, ha un conto di poco meno di 10 milioni per il quadriennio 2015-2018, somma che raddoppia fino al 2020 con poco meno di 20 milioni.
LE AZIENDE E LA DIFFERENZA CON I FARMACI - Le organizzazioni di rappresentanza delle aziende fornitrici (generano un fatturato di 16 miliardi euro e danno lavoro a 112mila persone) sono convinte che che il meccanismo del payback sia fortemente vessatorio delle imprese che partecipano a gare pubbliche, per la gran parte centralizzate quindi soggette a fortissima concorrenza sui prezzi, nelle quali è la stazione appaltante a quantificare il proprio fabbisogno, a stabilire se le offerte ricevute sono congrue e infine a scegliere tra di esse quella che meglio la soddisfa.
Una volta aggiudicatasi una gara, un’impresa non ha alcuna possibilità di cessare la fornitura, anzi è per legge tenuta a non interrompere il proprio servizio. In questo contesto il payback sarebbe «un escamotage per non pagare (facendoselo rimborsare) una parte del prezzo precedentemente pattuito e contrattualizzato a valle di una gara pubblica nella quale, come detto, è la Pubblica Amministrazione a fissare tutti i parametri».