Non è dato a chiunque raccontare una storia già ampiamente scritta e codificata. Serve conoscerla e occorre avere strumenti inediti per ricostruirla, in modo anche un po’ eretico, lasciando emergere tracce rimaste nascoste e che meritavano di essere portate in superficie, con libertà e acume. Ci poteva riuscire solo Alessandro Baricco.
Nella sua Breve storia eretica della Musica Classica, con quello stile raffinato, poetico e schietto che ce lo fanno amare, Baricco ci porta a immaginare la musica e i suoi protagonisti come mai ce li saremmo immaginati, collocando il fenomeno che chiamiamo Musica Classica all’interno di un lungo cammino, molto simile a quello della civiltà umana, fatto di nomadismi, soste e diaspore.
Dopo lo smarrimento legato alla caduta dell’Impero Romano, ci ricorda l’Autore, pittori, filosofi, poeti, drammaturghi cercarono rimedio guardando proprio ai classici, ai Greci. Tutti, tranne i musicisti, che, non trovando nella Grecia classica un modello a cui rifarsi, dovettero costruirlo. È così che nasce la musica classica, sullo sfondo di un disorientante dilemma: la musica emerge dalla Grande Armonia che tiene insieme il mondo oppure è un materiale messo a disposizione dalla natura e che gli esseri umani dovrebbero lavorare per farne un linguaggio?
Arriva la Prima Musica, non riducibile al solo “canto gregoriano”, ma riflessa negli «infiniti rigagnoli monodici» che confluiscono «da ogni parte verso le cerimonie cristiane, provenendo dai deserti israelitici, dalle foreste del Nord e dalle rovine di Roma». A quella voce solitaria si aggiunse, all’improvviso, una seconda voce: nasce la polifonia, un «ventaglio» rimasto chiuso per secoli. L’«incanto quasi infantile» del rapporto con i suoni dei Maestri della Prima Musica, che accoglievano i suoni più che tentare di addomesticarli, comincerà a scivolare via all’inizio del Cinquecento. Quella stabilità lascerà il posto al suo contrario e sarà l’inizio dell’Età del Disordine. La musica prende ora le sembianze di un linguaggio utile a esprimere emozioni e sentimenti, sebbene i musici, particolari «cacciatori raccoglitori», continuino a girovagare, mentre intanto nascono il Teatro Musicale, figlio di un «vento laterale e impetuoso», e il pubblico.
Con Bach ed Händel, profeti dell’avvenire, siamo all’apice del Grande Disordine e di una deflagrazione innescata anche da un’altra grande novità: la tonalità. La boscaglia misteriosa diviene una prateria di campi coltivabili. È il tempo della Musica Classica e di Mozart, tempo in cui la musica diventa narrazione, il paesaggio che aveva riposato diviene palcoscenico per personaggi e azioni, i nomadi si stanziano. Dopo aver addomesticato la realtà, con Beethoven si inizia a pensare di reinventarla, all’inizio di quella «nuova partita» che abbiamo chiamato modernità. Generazioni di musicisti abbracciano l’idea di perfezionare la simbiosi tra Musica Classica e modernità, allo scopo di ricreare il mondo, ognuno a modo loro: Schubert, Chopin, Schumann, Čajkovskij, Liszt, Paganini, Dvořák, Brahms. E poi Wagner, con il quale, scrive Baricco, le due storie parallele della Musica Classica e del Teatro Musicale, per un momento, diventano una sola.
Ci sarà poi un ultimo e ineffabile tentativo di coltivazione di «orti deliziosi sull’orlo dell’abisso», con Debussy, Satie o Fauré, prima del ritorno al nomadismo. Schönberg e Stravinskij danno fuoco a tutto, si fugge dall’agricoltura musicale, si abbandonano i campi e si moltiplicano le tribù. È l’inizio della diaspora musicale e di una nuova Età del Disordine, durante la quale, però, la tribù dei musici perde «quella centralità nell’umano sentire che per secoli aveva avuto il privilegio di abitare». È una Storia con pochissime donne, con eroi legati alle élite del potere che oggi, sottolinea l’Autore, si presenta «splendida nel suo repertorio di bellezze e invendibile per il suo portato ideologico». E in questo bellissimo specchio, ci ricorda Baricco, le ultime generazioni «non trovano la propria immagine, ma quella dei padri che vorrebbero distruggere». In effetti, con una punta di malinconia, è inevitabile prendere atto di uno scarto tra certa produzione musicale e le nuove generazioni che appare insuperabile.
Questa storia, raccontata con uno stile davvero efficace e imaginifico, non è solo quella della musica occidentale, ma è un po’ il cammino dell’umanità per come si è srotolato in questa nostra porzione di mondo. Una storia che si rinnova e si autogenera, che vive anche quando sembra morire. La musica appare allora come un caleidoscopio attraverso il quale scrutare tra le pieghe, anche declinanti, della realtà e del progresso, un caleidoscopio che, tuttavia, suggerisce speranza. E, difatti, ci dice Baricco, proprio dai nuovi musicisti, mossi da un’energia e uno splendore nuovi, «si impara che, benché tutto sia finito, nulla finirà».
“GUIDA ALL’ASCOLTO
(di Nicola Morisco)
“WISHES YOU A SWINGING CHRISTMAS” di ELLA FITZGERALD
Nel 1967 la grande e inimitabile Ella Fitzgerald, al suo secondo album per Capitol Records, si concentrò esclusivamente sugli inni natalizi tradizionali (nonché tradizionalmente interpretati), una sorta di contraltare all’estroso, spiazzante e celeberrimo “Wishes You a Swinging Christmas”, inciso per Verve all’inizio del decennio e divenuto un punto fermo del repertorio festivo. In questa occasione Ella, affiancata dagli arrangiatori Robert Black e Grace Price e dal direttore d’orchestra Ralph Carmichael, si tuffa con sensibilità e profondità nei classici dei classici (uno per tutti: “O Holy Night”), affrontandoli con una purezza interpretativa che mette in luce ogni sfumatura della sua voce. Il risultato è un percorso musicale che spazia dall’intimità di piccoli ensemble alla maestosità della grande orchestra, talvolta arricchita dal coro, offrendo un quadro sonoro ampio, raffinato e sorprendentemente vario, capace di rivelare un lato più contemplativo della straordinaria cantante.
“THE CHRISTMAS ALBUM” di CHRIS REA
Chris Rea, una delle voci più distintive del rock, è diventato un simbolo del Natale grazie a “Driving Home For Christmas”, pubblicata nel 1988. Il 28 novembre uscirà “The Christmas Album”, la sua prima raccolta dedicata al periodo natalizio: otto brani, disponibili in CD e vinile, selezionati dal suo catalogo e legati al tema delle feste. È previsto anche un 7” in vinile bianco in edizione limitata con il singolo e una versione strumentale sul lato B. La compilation si apre con “Driving Home For Christmas” e si chiude con la versione originale del 1986, inizialmente pubblicata come lato B di “Hello Friend”. Rea decise poi di riregistrarla e ripubblicarla nel 1988 all’interno di “New Light Through Old Windows”. Pur avendo avuto un inizio modesto, la canzone è diventata un classico delle festività, onnipresente in radio, film e playlist, e rientra nella UK Top 40 ogni anno dal 2007.
















