Sabato 06 Settembre 2025 | 11:45

In principio fu Marlene. La “voglia matta” al cinema

 
 ANTON GIULIO MANCINO

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ANTON GIULIO MANCINO

In principio fu Marlene. La “voglia matta” al cinema

Il cinematografo è di per se stesso un dispositivo desiderante, appannaggio un tempo di maschi che si interfacciavano con controcampi di donne mutanti

Lunedì 30 Giugno 2025, 06:28

Il concetto di “desiderio” al cinema porta diritto al Roberto Rossellini più melodrammatico che neorealista dell’immediato dopoguerra, ovvero a quel Desiderio (1946) diretto con Marcello Pagliero; oppure all’omonimo film, in originale Desire di dieci anni prima con Marlene Dietrich. Ma il cinematografo stesso è di per se stesso un dispositivo desiderante, appannaggio un tempo di maschi che si interfacciavano con incomprensibili, sfuggenti e perciò incommensurabili controcampi di donne mutanti; e che al cospetto del maturo Fernando Rey in Quell’oscuro oggetto del desiderio (1977) di Luis Buñuel, assumevano l’ironico aspetto sdoppiato e surrealisticamente naturale di differenti donne in avvicendamento continuo: Angela Molina e Carole Bouquet. 

Ma nel comparto rettangolare dove il maschile folleggia come il Genio dentro la Lampada di Aladino, la donna è “mobile” e moltiplicabile come in (1963) di Federico Fellini, pronto a distribuirle in sogno al protagonista Marcello Mastroianni in un harem pur sempre minaccioso dell’immaturità e del narcisismo maschile, fino a farne deflagrare la consistenza plurale ne La città delle donne (1980), con strizzate d’occhio alla presenza femminile nelle file della lotta armata. Ed è appunto questa, sfogliando il nutrito catalogo delle stupende copie restaurate in 4K che il listino aggiornato Cecchi Gori Entertainment alterna tra dvd e blu-ray alla sala in un meccanismo virtuoso, la chiave, quella più intelligente e poetica proveniente dalla migliore e inesausta linfa della Nouvelle Vague francese, che porta decenni dopo il giovane poliziotto di Hong Kong Express (1994) di Wong Kar Wai a sfiorare e inseguire di continuo una ragazza fantasma di nome May che assume di volta in volta un’identità alternativa e sostituibile. Cambia in corso d’opera l’uomo-poliziotto, come la donna, dapprincipio con la parrucca, gli occhiali scuri e il trench per far fronte simultaneamente al sole e alla pioggia, quindi commessa in un fast-food con il volto di Faye Wong che firma una memorabile cover di Dreams dei Cranberries, e decolla al ritornello insistente di California Dreamin’ di Mamas & Papas. Lo spettro della Cina incombente in una Hong Kong dimidiata tra Oriente e Occidente, dove l’amore e il desiderio univoco scadono come i prodotti in scatola, non è che l’epifenomeno dei desideri proibiti di altri classici dell’autore di In the Mood for Love (2000), dal film d’esordio As Tears Goes By (1988) a Happy Together (1997), tutti in viaggio tra grande e piccolo schermo ora con il marchio Cecchi Gori; e che sul fronte asiatico rincara la dose del desiderio da quello proibito e fisicamente molto esplicito e distruttivo de L’impero dei sensi (1976) di Nagisa Oshima, quindi del complementare L’impero della passione (1978) che tra desiderio, tradimento e delitto creano le premesse con la Corea del Sud di Ferro 3 (2004), classico di Kim Ki-duk, sempre tra gli imperdibili dispensati da Cecchi Gori. 

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