Una figura poliedrica quantomai interessante quella di Valentina Ciccaglioni, pianista, tastierista, compositrice e arrangiatrice di formazione classica, ma con un’ampia esperienza nel campo della musica moderna e soprattutto del pop italiano. È stata la prima donna in settant’anni ammessa nella sezione ritmica del Festival di Sanremo. Quest’anno non parteciperà al Festival, ma l’abbiamo coinvolta in una riflessione critica su diversi aspetti legati a questa manifestazione così amata dal pubblico italiano.
Valentina, qual è la linea di quest’anno?
«Carlo Conti sta cercando di seguire la linea intrapresa da Amadeus nelle edizioni passate, strizzando l’occhio a generi musicali che sicuramente hanno più presa tra i giovani. La musica in questo momento sta vivendo una dimensione molto più vicina alla componente elettronica che a quella acustica, nell’ambito di un festival noto per il suo legame con aspetti della tradizione del Belcanto o della melodia che prende spunto dalle arie delle opere. Tutti ricordiamo grandi voci del passato e testi indimenticabili».
A livello musicale cosa è cambiato?
«Beh, si utilizza poco quella che è la parte acustica nell’orchestra, affidandosi ampiamente all’auto-tune per esempio, che inizialmente nasceva per correggere i problemi di intonazione durante le registrazioni, ma che oggi viene usato fondamentalmente perché la maggior parte dei ragazzi non ha delle capacità canore così spiccate. Io faccio parte di quella generazione che viene da una musica fatta di studio e pratica sullo strumento e non da un computer. Tutto è cambiato e le ragioni profonde di questo mutamento generazionale sono dovute sia ad un distacco a livello emotivo, che di impegno del giovane. A meno che non abbia una storia alle spalle di studi musicali».
Cosa mi dice invece dei testi?
«Ormai andiamo verso un impoverimento anche dei contenuti: non si riesce ad andare oltre un “ti amo o “mi hai lasciato”, oppure verso un’esasperazione esagerata».
E l’insistenza su problematiche superate?
«Achille Lauro non è altro che una brutta copia di quello che Renato zero già faceva negli anni ’70, ma nel suo caso a ragione, in un contesto di conflitti e lotte politiche e sociali reali. Non credo sia necessario rimestare problemi di cui si è a lungo dibattuto nel corso della storia, e che non fanno più scalpore, quando nel mondo ci sarebbero questioni ben più serie da affrontare o a cui rivolgere una riflessione. È diventato tutto molto spettacolare insomma, artificiale e artificioso. Mi auguro che si possa tornare alla musica vera, a contenuti di livello, che mettano in gioco la persona e il suo intimo, lasciando davvero qualche spunto di riflessione in chi ascolta».
Quali sono i suoi preferiti, se la sente di azzardare un pronostico per quest’anno?
«Credo che la canzone stia perdendo il suo valore, infatti oggi muore prima, e dopo la vittoria non si canta già più. Ciò che viene richiesto dalle case discografiche è la semplicità, che si renda al massimo con il minimo sforzo. Con tre accordi oggi già si fa un brano, mentre la musica del passato era molto più complessa, perfino se ci riferiamo ad autori popolari come poteva essere ad esempio Baglioni. Uno come Pino Daniele oggi forse non avrebbe avuto il suo spazio. Ci sono sicuramente artisti interessanti nel panorama italiano ma fanno parte di un sottobosco che il più delle volte non viene prodotto. A me piace molto la Michelin, un’artista coerente e di buon gusto, mai banale, come anche la Brancale, che ha sempre fatto delle cose molto interessanti. Sono curiosa però di ascoltare anche Giorgia ed Elodie, grandi artiste in grado di riservare sempre qualche sorpresa».