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Ilva, indotto allo stremo
crediti per 150 milioni

 
Ilva taranto, lavoratore

È emergenza al siderurgico. «Non ce la facciamo più. A stento stipendi pagati a dicembre»

Giovedì 28 Dicembre 2017, 09:45

12:57

di GIACOMO RIZZO

TARANTO - «Con un’azienda di 50 dipendenti ci troviamo con un credito della sproporzionatissima cifra di 3,7 milioni di euro. In queste condizioni come si fa ad andare avanti?». Carmine Di Natale, titolare della Metal Tirrena srl, azienda dell’indotto Ilva, centra subito il cuore del problema. I crediti pregressi sono esorbitanti e fanno cumulo perché anche il pagamento del corrente non è puntuale. «Con grandi sacrifici – spiega Di Natale – siamo riusciti a corrispondere ai nostri dipendenti lo stipendio di dicembre e metà tredicesima. Cerchiamo sempre di tamponare. Diversamente, con uno scaduto del genere, non sarebbe possibile».

Il sistema dell’indotto vanta nei confronti dell’Ilva in Amministrazione straordinaria circa 150 milioni di euro. «Per il pagamento del pregresso – aggiunge il responsabile della Metal Tirrena, azienda che si occupa di manutenzione agli impianti meccanici e di meccanica industriale – siamo stati maltrattati oltremodo. Al limite avremmo dovuto avanzare come gli altri, massimo 1,2 milioni. Avremo sicuramente enormi problemi per la ricostituzione del capitale sociale. Dovrei rimettere quei soldi all’interno della società e cominciare a pagare tutte le tasse per qualcosa che ho fatturato ma non ho incassato. Dalla scorsa estate viviamo un periodo che potrei definire orrendo».

Sebbene i commissari straordinari, come fatto rilevare da Confindustria, abbiano elaborato un piano di recupero delle fatture scadute, i tempi di pagamento si stanno allungando a causa di un’oggettiva difficoltà a mantenere gli impegni assunti.

«Io - osserva Di Natale - vivo praticamente in cantiere e rilevo un tracollo totale da luglio in poi. Dopo la fermata del treno nastri e l’avanzamento della trattativa con Mittal c’è stata la volontà da parte dei commissari, forse perché non c’erano soldi, di non appaltare. Non appaltare significa che c’è pochissimo lavoro in Ilva e riguarda interventi per la sicurezza. Aziende come le nostre hanno comunque un bagaglio troppo pesante da portare avanti e stanno lavorando con il triplo delle forze e con un valore aggiunto che nessuno riconosce. Se non c’è lavoro tu le tasse non le paghi ma il Durc, il Documento unico di regolarità contributiva, non lo hai. E se non hai il Durc sei fuori dal sistema».

Questo è un aspetto che, secondo l’imprenditore, «non è ancora emerso in tutta la sua gravità. L’ultimo pagamento che abbiamo ricevuto è stato, come per gli altri, il 18 dicembre, in ordine al 15-20% dello scaduto. Se non ci faranno lavorare l’anno prossimo falliranno tutti quelli che non hanno la forza economica che nel tempo sono riusciti a guadagnare. Quando arriva la gara è come quando butti l’osso nella gabbia dei cani. Sarebbe bello se riuscissimo a prendere il lavoro come fanno le aziende consortili unendoci tutti quanti in modo da farci trovare pronti. Così ci sostituiremmo noi al grande general contractor del nord. Invece ci facciamo lo scalpo per diecimila euro».

La situazione è difficile, per usare un eufemismo, un po’ per tutte le aziende dell’indotto. «Noi – ammette Daniele Massari, titolare della Nuova Ites srl che si occupa di riparazione di macchinari elettrici e ha alle dipendenze 25 unità e un fatturato di circa due milioni e mezzo di euro - abbiamo potuto dare solo un acconto di tredicesima e aspettiamo di poter dare il resto prima possibile. Per fortuna lavoriamo parecchio con l’estero, con clienti del campo dell’Eolico, e quindi abbiamo limitato il danno anche se il fatturato con Ilva incide per il 35%. Quello che preoccupa sicuramente è l’esito di questo braccio di ferro politico e la questione dei crediti pregressi. Tutti noi abbiamo preso un “bidone” nel 2014 da un’azienda commissariata dal governo a cui abbiamo continuato a dare fiducia. Tutto ciò che ci doveva essere pagato è finito in un calderone».

Ai lavoratori «abbiamo spiegato la situazione. Sanno - precisa Massari - che facciamo del nostro meglio per non dipendere dall’Ilva e che grazie al nostro impegno non siamo ancora, per così dire, in braghe di tela».

Le difficoltà «per le imprese - commenta invece Chiara Bianchi, titolare della Bi Service srl, che si occupa di bonifiche ambientali e conta su una quarantina di dipendenti - sono tante. Da anni viviamo questa situazione negativa. Andiamo avanti perché ci sono gli operai che ci danno la forza. Eppure a dicembre siamo riusciti a pagare le tredicesime ma non gli stipendi. L’auspicio è che Ilva si riprenda. Senza liquidità, ovviamente, si è costretti a ricorrere alla cassa integrazione e tutto quello che viene dopo».

Anche la categoria degli autotrasportatori è coinvolta a pieno titolo in questa vertenza. Vladimiro Pulpo, rappresentante legale della Transervice srl, confessa che «non è stato certamente un Natale sereno perché purtroppo il futuro è sempre più nero. Penso che chi ha in mano il cerino di questa vicenda deve pensare realmente a risolvere la questione dell’Ilva, dell’ambiente e dell’indotto che soffre tantissimo e ha bisogno di essere ristorato immediatamente. Bisogna dare una risposta immediata o quando riprenderemo, se riprenderemo dopo l’Epifania, non so cosa succederà».

Gli autotrasportatori sono stati fatti rientrare nella prededucibilità, ma «anche quella – chiarisce Pulpo – è solo carta. Il decreto è stato fatto dopo. Ci dobbiamo sedere nuovamente in tribunale affinchè venga riconfermata questa condizione. Per ora parliamo di aria fritta e non possiamo nemmeno accedere a quel fondo di garanzia di cui si parlava. La mia azienda fa girare 70 microimprese tra padroncini e artigiani e ha 60 dipendenti. Abbiamo pagato gli stipendi ma le tredicesime ancora no». E c’è un’altra beffa che la categoria intende assolutamente evitare. «Oggi che siamo quasi “decotti” – conclude Pulpo - non vorremmo essere tagliati fuori dopo anni che abbiamo sovvenzionato l’Ilva. Il pregresso si sa che fine farà, per il corrente ci sono sempre ritardi, non ce la facciamo più. Le risorse sono finite, quello che ci spetta lo hanno in mano loro».

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