di MAURO CIARDO
LECCE - Il Mediterraneo sta diventando una «zuppa di plastica» e scatta l’allarme anche per i mari salentini inquinati dalle microplastiche più del doppio della media mondiale. In attesa che il Ministero per l’Ambiente raccolga i dati da tutte le regioni italiane per dare seguito a una Direttiva dell’Unione europea, i numeri per la Puglia già ci sono e indicano che le acque del mare tra Adriatico e Jonio sono ricche non solo di meravigliose specie ittiche ma anche di una grande quantità di microplastiche.
Le microplastiche si distinguono in primarie e secondarie. Le prime hanno dimensioni microscopiche e derivano tipicamente dai prodotti della cosmesi come gli esfolianti (una delle principali fonti di questi materiali inquinanti), dalla sabbiatura e dall’industria farmaceutica. Sono ancora considerate microplastiche primarie i pellets di plastica vergine con diametro tra 2 e 5 millimetri. Le secondarie sono quei piccoli frammenti di plastica derivanti dalla degradazione dei rifiuti più grandi sia marini che terrestri.
Il fenomeno, è bene precisarlo, non interessa solo questa lembo a Sud Est del vecchio continente ma ha una portata globale; basti pensare che i polimeri sotto forma di cellophane, nylon o pvc sono arrivati fino ai poli ghiacciati del Pianeta.
Per capire lo stato di salute delle acque salentine basta leggere due report, quello più recente è dell’Arpa che nel 2014 ha messo sotto osservazione quattro punti campionandone le acque: Oasi delle Cesine, Tricase, Ugento e Porto Cesareo. L’inquinamento da microplastiche è più del doppio della media mondiale.
«Il valore medio di nanoparticelle per ogni metri cubo di acqua calcolato per le acque mondiali è di 0.41 - hanno scritto gli autori della ricerca Nicola Ungaro e Enrico Barbone, componenti dell’Unità operativa semplice di biologia, mare e coste - mentre quello rinvenuto per le acque pugliesi è di 0.91».
In dati dell’Arpa si incrociano con quelli del Cnr redatti insieme all’Università del Salento in una ricerca del 2013 in cui ha partecipato il docente Genuario Belmonte.
In questo caso i punti di campionamento sono stati Santa Maria di Leuca, Otranto, Melendugno e San Cataldo e i risultati non hanno lasciato ben sperare. A Leuca ne sono stati recuperati 46,13 grammi per chilometro quadrato, al largo della Città dei Martiri 5,57, nelle acque di Melendugno 178,86 e al largo di San Cataldo 49,81. Entrando più nel dettaglio, il 50 per cento dei materiali raccolti davanti a Leuca era di polietilene, il 12 per cento di pvc e un altro 12 per cento di polivinilacetato, a Otranto c’era anche un 13 per cento di polipropilene insieme a un 15 per cento di nylon e a un 28 per cento di poliammide, a Melendugno è emerso un 57 per cento di pitture plastiche esfoliate, infine a San Cataldo la metà era di polietilene, il 10 per cento di polipropilene e un altro 10 per cento di poliammide.
Gli scienziati hanno analizzato anche il comportamento e l’alterazione di questi materiali e di altri derivati composti chimici trasformati poi dall’uomo, tra cui il polisoprene trans, il polipropilene isotactic e il policaprolactone. Tutta roba non biodegradabile che alla fine finisce nella catena alimentare.