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Gioia del colle, Mina Welby
e le battaglie di Piergiorgio

 
Valentino Sgaramella

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Valentino Sgaramella

Mina Welby

Domenica 26 Marzo 2017, 16:15

di VALENTINO SGARAMELLA

È una donna minuta ma dolcissima, Mina Scheet in Welby. Un’altoatesina che ha sposato Piergiorgio Welby e ne ha condiviso la via crucis con le sue 13 stazioni sino alla morte. Una vita non più degna di essere definita tale, come Piergiorgio scriveva all’allora Capo dello Stato, Giorgio Napolitano: «cosa c’è di naturale in un buco nella pancia, una pompa che la riempie di proteine, uno squarcio nella trachea ed una pompa che soffia aria nei polmoni, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale?». Chiedeva una legge sull’eutanasia. Dopo l’analoga vicenda di Dj Fabo, siamo ancora alle prese con l’approvazione di una legge sulla dichiarazione anticipata di trattamento, il cosiddetto bio-testamento. Mina Welby ha presentato il suo libro «L’ultimo gesto d’amore» a Gioia del Colle, interrogata da Giovanna Magistro, l’avv. Rosella Cuscito ed il notaio Alberto D’Abbicco. L’on. Dario Ginefra ha portato la sua viva testimonianza: «per la parte che rappresento chiedo scusa perché è indegno di un Paese civile questo ritardo con anni di discussione e accelerazioni figlie della esposizione della politica a casi specifici». A margine della serata, Mina Welby ha concesso questa intervista.

Come ha conosciuto suo marito? «Un giorno giunsi a Roma per la settimana Santa e vidi quest’uomo appoggiato alla statua di Giordano Bruno; gli chiesi un’informazione su come raggiungere piazza Venezia. Lui ironizzò sul mio accento tedesco visto che sono nata in Alto Adige. Ci scambiammo i numeri di telefono fisso. Nacque un sentimento d’amore. Inizialmente gli somministravano amfetamine per dare un po’ di forza muscolare. Poi cominciò a praticare iniezioni di eroina. Diceva: tanto devo vivere poco tanto vale che vivo la vita come mi piace. Pian piano diventò dipendente dall’eroina. Cominciò a disintossicarsi col metadone ed in quel periodo lo conobbi. Con me ricominciò ad uscire di casa con la carrozzina e realizzammo una tavola per gli ultimi 8 gradini dall’ascensore al portone. Smise di assumere metadone. La nostra vita era felice. Mi diceva che non avrebbe voluto sposarmi perché voleva che io fossi libera di andarmene qualora non avessi avuto più la forza. Non ho mai avuto questo pensiero perché la malattia appartiene alla vita».

Il peggioramento quando avvenne? «Nella primavera del 1997 lui cominciò a prepararmi al peggio. A giugno non riusciva a stare comodamente a letto. Subì una tracheotomia. Conobbe i radicali. Aprì un blog. Riusciva a respirare ancora autonomamente. Nel 2002 le cose ripresero a peggiorare, deglutiva a fatica e spesso il cibo finiva nella trachea causando poi polmoniti. Bisognava inserire un sondino. In quel momento iniziò a studiare una proposta di legge sul bio-testamento. Aprì un forum internet su eutanasia. Ormai la sua vita dipendeva da un ventilatore meccanico. Non riusciva a stare seduto per più di un’ora. Non era più capace di scrivere ormai».

Si avviò allora il percorso verso la fine? «Venne Marco Cappato a casa. Si fece raccontare l’intera storia. Piergiorgio fece scrivere una lettera al capo dello Stato. Radio radicale da casa nostra realizzò una trasmissione. Da quel momento casa nostra fu invasa da giornalisti e telecamere. La Rizzoli chiese di scrivere un libro dal titolo "Lasciatemi morire". Cappato invitò a casa medici belgi, uno psichiatra ed uno specialista per la distrofia. Piergiorgio chiese loro un farmaco per morire. Un secondo psichiatra italiano somministrò delle compresse che lui rifiutò. Soffriva moltissimo».

I radicali di Cremona misero in contatto con Cappato un medico italiano, dott. Mario Riccio. Il 20 dicembre 2006 Welby ha smesso di vivere poco prima della mezzanotte.

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