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Maratona, il record
di un altro pianeta

 
Maratona, il record  di un altro pianeta

L'unica certezza: a batterlo sarà un atleta africano

Mercoledì 11 Gennaio 2017, 12:38

di Gaetano Campione

Chi ci riuscirà, avrà trovato il Sacro Graal della corsa. E, di diritto, entrerà nell’immortalità sportiva. Perché abbattere il muro delle due ore nella maratona è qualcosa di più di una provocazione. Questo muro da sgretolare rappresenta un’ossessione, un traguardo ai limiti delle attuali possibilità umane. Tant’è che il movimento si è diviso tra possibilisti e scettici. Nessuno sa quando il record sarà battuto. Si sa solo che, prima o poi, come tutti i primati cadrà: le previsioni più ottimistiche parlano di 15/20 anni, i più cauti individuano nel 2075 l’anno giusto..

Per avere un’idea più precisa dell’argomento, basti pensare come in poco meno di vent’anni il limite si è abbassato di quasi tre minuti: dal 2h05’42” del marocchino Khalid Khannouchi (Chicago, 1999) al 2h02’57” di Dennis Kimetto (Berlino, 2014). Tabelle alla mano, bisognerebbe correre due mezze maratone sotto l’ora, a 21 chilometro orari. Roba da fantascienza. Perché attualmente, gli atleti in grado di scendere sotto i 60 minuti nella 21 km si contano sulle dita di una mano. Sono tutti africani.

Dice Giacomo Leone, vincitore della maratona di New York, quinto alle Olimpiadi di Sydney su questa distanza, un personale di 2h07’52”, oggi presidente pugliese della Fidal: «Devi trovare chi ti accompagna con questi ritmi fino al 30° chilometro: da solo non vai da nessuna parte. Poi devi correre gli ultimi 10 chilometri ancora più forte. Certo, fisiologicamente è possibile. Anche se servirebbero un percorso senza curve o saliscendi, condizioni climatiche perfette, un equilibrio psico-fisico da manuale. Un esempio: il giorno della maratona di Sydney trovai l’unica giornata di vento dell’anno e, nonostante la preparazione perfetta, fui costretto a rallentare».

Insomma, la maratona perfetta ha il sapore dell’utopia: «Molto probabilmente scendere sotto le due ore toccherà ad un’altra generazione di maratoneti. L’elemento decisivo sarà la voglia di arrivare, di raggiungere l’obiettivo. Quando stabilii il personale sulla maratona, ero reduce dalla delusione dei Giochi. Sembrerà assurdo. Ma mi riposai per tre mesi, poi ripresi e corsi più veloce di prima. Certo avevo alle spalle la preparazione olimpica, ma la determinazione, la possibilità del riscatto, si rivelarono decisive».

Intanto la Nike e l’Adidas hanno varato quest’anno due progetti ambiziosi. Hanno convocato i migliori sei specialisti al mondo (quattro keniani, un etiope e un eritreo) li hanno messi sotto contratto, hanno affiancato ai top runner team di scienziati, psicologi, ingegneri, allenatori, nutrizionisti e biologi, e li stanno preparando per l’impresa. La sfida al limite si costruisce in laboratorio. Programmi, materiali, superfici consigliate: nulla è lasciato al caso. «È la nostra missione su Marte», affermano gli esperti della casa col baffo. I muscoli, da soli, non bastano. Spazio al maratoneta bionico, l’unico in grado di superare l’abisso dei 177 secondi che divide l’attuale record dal muro delle 2 ore.

La maratona mantiene intatto il suo fascino. È la sfida per eccellenza con sé stessi. Racchiude il fascino della leggenda, il potere dell’emozione che ti segna la vita e fissa quell’istante indimenticabile, il sapore della gloria sportiva, le debolezze e le virtù di ciascuno di noi.

Ottavio Andriani, di maratone se ne intende. Olimpiadi di Pechino, Mondiali di Helsinki, Europei di Monaco, Budapest e Barcellona. Il suo personale sulla distanza è di 2h09’07”.

«Nulla è impossibile - spiega - ma ci vuole tempo. Difficilmente il uro delle 2 ore sarà sgretolato nel giro di un anno. Mi sembra più una trovata di marketing. Verosimile, invece, che si riesca a battere il primato nel giro dei prossimi dieci anni. Diciamo che il recordman di domani, oggi frequenta ancora le scuole superiori».

Andriani è il responsabile del mezzofondo del comitato pugliese Fidal: «Serve una svolta epocale anche nella metodologia di allenamento. Per raggiungere l’obiettivo bisogna puntare più su potenza e velocità. Senza dimenticare una sinergia di fattori positivi come il percoso lineare, la temperatura costante, l’assenza di vento. Insomma, va costruito un supporto di qualità altrettanto importante quanto il maratoneta bionico. Sia chiaro, da costruire in laboratorio senza ricorrere a sostanze proibite. Poi la maratona si corre anche e soprattutto con la testa. Pensare ad un’atleta che sfida il cronometro da solo, senza compagni di viaggio con le stesse capacità fisiche, è pura teoria. Chi corre sa come e quanto sia importante la tattica, il punto di riferimento davanti, l’obiettivo da raggiungere, senza i quali tutto diventa più difficile. E poi i record si raggiungono in maniera lineare, poco alla volta».

Infine i premi. «Serve l’incentivo. Da quando il premio per il vincitore della maratona di Dubai è stato fissato a un milione di dollari (con bonus di un altro milione per il record del mondo), la corsa è diventata subito una delle più veloci del mondo», conclude Andriani.

Maratona, passione infinita. Gli ultimi dati disponibili parlano chiaramente: sono 38.676 i «finisher», gli italiani che in un anno hanno portato a termine almeno un’intera maratona. E sono ormai oltre duemila le maratone organizzate in tutto il mondo. A spingere il maratoneta bionico ci siamo un po’ tutti. Perché ognuno di noi ha il proprio muro da sgretolare correndo.

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