di Giovanni Longo
BARI - Il servizio sul presunto falso avvocato, era «recitato» a casa di Mingo De Pasquale, con tanto di attori che, una scena dietro l’altra, cambiavano pure i vestiti. Altro che Casamassima, in provincia di Bari, come era stato fatto credere agli autori di «Striscia la Notizia» e ai milioni di telespettatori davanti alla tv. La circostanza sarebbe stata riferita agli inquirenti dall’attore protagonista del presunto servizio taroccato.
Il particolare spunta dalle chiusura delle indagini nei confronti dell’attore Domenico (Mingo) De Pasquale e di sua moglie, Corinna Martino, amministratore della Mec Produzioni, società che realizzava i servizi mandati in onda da «Striscia». Stando alle indagini del pm Isabella Ginefra, la coppia avrebbe truffato per 170mila euro Mediaset, facendosi pagare 10 servizi andati in onda dal Tg satirico di Mediaset fra il 2012 e il 2013, relativi a fatti inventati e invece spacciati per veri, e facendosi rimborsare costi non dovuti per figuranti e attori.
Nel fascicolo (è indagata anche la segretaria della società, accusata di un presunto favoreggiamento), ci sono le dichiarazioni di chi, ritiene la Procura, ha solo recitato la parte del sedicente avvocato. Si tratta di un fioraio del Comune alle porte di Bari dove sarebbero stati registrati solo gli esterni. Per l’accusa, dunque, era tutto inventato, non solo la «gag» finale, recitata, a quanto pare, a casa di Mingo.
Qui, secondo l’accusa, gli attori si travestivano e la «situazione» cambiava. L’obiettivo? Dimostrare a Mediaset che per beccare il «legale» c’erano voluti giorni interi di pazienti appostamenti. Tanto era «Striscia» a pagare le giornate in più rispetto a quelle effettivamente lavorate. Proprio da questo servizio sono partiti gli accertamenti. Una volta andato in onda, si sono attivati i Carabinieri. Hanno chiesto alla Mec le generalità del falso avvocato, ma, nonostante le ricerche, non c’era traccia neanche di chi avrebbe dato l’imbeccata alla «redazione» barese. Le immagini per risalire a chi, dal servizio, appariva come un impostore, poi spariscono: computer e attrezzature erano stati rubati. Un colpo da maestro con ladri che hanno agito in modo chirurgico: gli uffici non sono stati danneggiati e i collaboratori non ne sapevano nulla.
Per la Procura, anche questo è falso. Dal servizio «finito» chiesto a Mediaset, però, l’occhio attento di un militare individua la targa dell’Audi utilizzata dal sedicente avvocato. E si scopre che il mezzo era stato noleggiato proprio dalla Mec. Strano, devono avere pensato gli investigatori. Ad insospettirli un’altra circostanza. La Martino denuncia lo smarrimento della carta di credito utilizzata per pagare il noleggio. La donna non si attiva per bloccare la carta che, tempo dopo, così dichiara, viene ritrovata (che fortuna) nella cassetta postale. Per la Procura è una ipotesi di falso ideologico commesso da un privato in atto pubblico. Eccolo il primo tassello dell’indagine.