LECCE - Sgozzò il figlio di soli due anni con un taglierino nella casa di mare. La Corte d’assise d’appello di Taranto ha confermato la condanna a trent’anni di reclusione a Gianpiero Mele, il 29enne originario di Taurisano, accusato dell’omicidio del piccolo Stefano. Il nuovo processo di secondo grado era stato disposto dopo che la Cassazione aveva annullato la sentenza di condanna per un mero rinvio tecnico. I giudici leccesi non avevano adeguatamente motivato la mancata concessione delle attenuanti generiche e l’aggravante dei futili motivi. Nel pomeriggio di ieri, dopo circa tre ore di camera di consiglio, la Corte d’assise d’appello ha confermato: trent’anni di reclusione per il padre assassino. La partita giudiziaria non è chiusa del tutto.
Subito dopo il deposito delle motivazioni previste per i prossimi 90 giorni i legali di Mele, gli avvocati Gabriella Mastrolia e il professore Carlo Federico Grosso, potrebbero presentare un nuovo ricorso in Cassazione ma solo per chiedere un’eventuale revisione della pena e non sulla responsabilità dell'imputato ormai passata in giudicato. E sono definitive anche le provvisionali in favore della mamma di Stefano e dei nonni del piccolo che si erano costituiti parte civile con gli avvocati Alessandro Stomeo e Salvatore Centonze.
Uno dei più feroci e brutali omicidi consumati nel Salento negli ultimi anni risale al 30 giugno del 2010. Il padre di Stefano avrebbe pianificato l’infanticidio nei minimi dettagli. Mele, giovane laureato in Economia e Commercio, acquistò una corda da un negozio di ferramenta nelle immediate vicinanze della sua abitazione alla periferia di Torre San Giovanni, marina di Ugento. Legò il figlio e cercò di impiccarlo per poi tagliargli la gola con un taglierino. Il giovane padre, subito dopo l’infanticidio, tentò anche di togliersi la vita tagliandosi le vene del polso sinistro.
I carabinieri della Compagnia di Casarano chiusero il cerchio in breve arrestando dopo poche ore il padre assassino. Il movente su un’azione così violenta sarebbe riconducibile alla timore di Mele di essere lasciato dalla moglie con cui il rapporto si era logorato già da tempo. Nel processo di primo grado celebratosi in abbreviato l’ipotesi che il giovane non fosse nelle condizioni di intendere e di volere venne confutata dalla consulenza del Tribunale che stabilì come Mele fosse nel pieno delle proprie capacità al momento del delitto. L’imputato si trova da tempo ai domiciliari presso una casa di cura. [f.oli.]