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L'impronta dell'uomo sugli oceani

 
L'impronta dell'uomo sugli oceani

Giovedì 14 Febbraio 2008, 00:00

19 Agosto 2025, 19:17

ROMA - Se si guardano gli oceani dall'alto li si vede sempre blu, come se fossero l'unico ecosistema ancora risparmiato dall'attività dell'uomo. In realtà non c'è più un angolo di mare nel pianeta che non porti impressa l'impronta umana, che nel 40% dei casi è così profonda da mettere in pericolo la stessa sopravvivenza della vita così come è sempre stata. Lo ha confermato il primo atlante dettagliato della situazione degli oceani pubblicata dalla rivista Science.
I ricercatori di diverse università americane hanno esaminato gli effetti di 17 attività, dalla pesca all'inquinamento al riscaldamento globale, su 20 ecosistemi marini. Una volta determinato come le diverse minacce influiscono su ogni sistema, gli oceani sono stati divisi in spicchi di un chilometro quadrato, e per ogni spicchio è stata calcolata l'impronta ecologica umana. Dallo studio è emerso che non c'è nessuna area che non risenta di una qualche influenza umana, con il 41% che invece è stato classificato come molto influenzato e il 5% come estremamente influenzato. Dall'altro lato della classifica poche zone, in cui l'attività umana ha influito poco.

«E' molto importante vedere così nel dettaglio quali aree sono maggiormente affette - spiega Fiorenza Micheli, ricercatrice italiana che lavora all'università di Stanford - se si guarda ai dati solo globalmente si perdono informazioni necessarie ad una migliore gestione».
Nel Mediterraneo l'impatto è risultato medio o medio alto dappertutto, mentre le situazioni più critiche si trovano nel mare del Nord e nelle acque tra la Cina e il Giappone, che nella mappa compilata dagli esperti sono quasi completamente rosse, cioè con la peggiore classificazione. A salvarsi per ora sono le zone del nord dell'Australia, del Pacifico centrale e intorno ai Poli, anche se in quest'ultimo caso gli scienziati avvertono che il progressivo scioglimento dei ghiacci potrebbe presto peggiorare la situazione.
«Dallo studio si capisce che non ci si può occupare di una sola minaccia agli ecosistemi alla volta - spiega Andrew Rosenberg, dell'università del New Hampshire - perchè gli effetti dell'uomo si sommano e si peggiorano a vicenda».
Gli ecosistemi più minacciati nel pianeta sono risultati le barriere coralline, ma anche le foreste di mangrovie stanno soffrendo così come le montagne sottomarine. Un po' meglio stanno invece le acque superficiali in mare aperto. Sul piano delle attività umane più pericolose invece gli effetti del riscaldamento globale, l'aumento delle temperature oceaniche e l'acidificazione delle acque sono quelli che hanno un impatto sulle aree più vaste, seguiti a breve distanza dalla pesca industriale.
Il modo migliore per salvare gli ecosistemi, suggeriscono gli scienziati, è aumentare le riserve marine. Lo conferma un altro studio, che la ricercatrice italiana presenterà domani al congresso della società americana per le Scienze: «Di 960 specie animali che abbiamo studiato in 31 riserve - spiega Micheli - abbiamo visto che almeno il 60% ha benefici dall'istituzione dei parchi marini, che non aiutano solo i singoli animali ma tutta la catena alimentare».

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