BARI - Non esiste una realtà più romantica della scienza. Nessun altro luogo sprigiona la magia, il mistero di un laboratorio, dal quale oggi nascono il pensiero nuovo, l’etica e la nostra coscienza nell’impatto sociale della tecnologia. E le aule universitarie di Fisica frequentavano i nostrani «ragazzi di via Panisperna». Che non scoprirono le proprietà dei neutroni lenti come a Roma nel ‘34 gli omologhi del Regio istituto al fianco di Enrico Fermi. Ma, legati come loro da amicizia nei caratteri sereni, amabili, vivaci e puliti, trascorsero gli anni verdi in un miscela di passione scientifica e folclore barese. Scegliendo poi ognuno la propria strada, chi nella scuola, chi nelle università, nella ricerca, ai vertici di istituzioni internazionali, già trasformato in voce dell’Enciclopedia Treccani. Sono i nostri magnifici «ragazzi di via Amendola». Un trio che vanta predecessori ed eredi.
Era là negli Ottanta, ed è lì ancora adesso il glorioso Dipartimento Interateneo di Fisica «Michelangelo Merlin», all’ombra del gigante Sergio Natali, scomparso recentemente. Sul viale di edifici bassi nei quali la vegetazione insidia l’atarassia delle macchine da esperimento. Roberto Cingolani, «il Cingolo», con i boccoli in testa, non glabro come adesso su Wikipedia, docile, simpaticissimo, destinato al team del Max Planck Institute di Stoccarda, visiting professor presso l’Università di Tokyo, a Richmond, Lecce, direttore dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, autore di trenta brevetti, tra le grandi figure della fisica contemporanea che nella Treccani ha già il suo spazio con selva di riferimenti esterni.
Gaetano «Nino» Scamarcio, educato, sanissimo, sorridente sulle braccia incrociate, nell’emissione dei suoi «mah…» enigmatici che spiravano soffio sereno, elastico sulle gambe di atleta, anche lui non ancora ridotto a Yul Brynner, visiting scientist presso i Bell Laboratory dell’At&T, della Lucent Technologies di Murray Hill (Usa), Università di Parigi 7, responsabile di progetti per l’Agenzia spaziale europea, Istituto nazionale di fisica della materia, ministeri, subissato di premi, professore ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Bari, presidente del Distretto Meccatronica MEDIS, e via dicendo.
Lucio «Luciotto» Lorusso, oggi tranquillo docente di scienze negli istituti superiori, ma dotato non meno dei compari di corso laureati a Bari nell’85, con i suoi 30 e lode conquistati spesso improvvisando in sede d’esame: quando la logica supera lo studio da «secchia».
Insieme al mattino, mentre di nascosto giocavano a scacchi sotto i banchi su un seggiolino durante le lezioni di Analisi matematica I di Giuseppe Arnese, che scriveva sulla lavagna ciò che esponeva con grafia splendida. Insieme prima degli esami tra i graniti venosi dell’atrio di Fisica, o sulle panchine all’ingresso, a contrastare la cacarella, a fumare Stop senza filtro e schifose MS. Insieme da Di Cosimo a ingollare cetacei in forma di panzerotti fritti, o la pizza spartita in lire. Insieme nel vicino pub Rimini, dove Scamarcio, iscritto anche al Conservatorio, si esibì con un amico in un duo di chitarre pseudo-flamenco. Insieme al mare a pesca, con Luciotto predestinato alle bavose e ai pesci neonati da sfiga. Insieme nella palestra mitologica di Jean Paul Pace, full contact, pugni e calci in testa. E di notte, soprattutto, sui pattini, «ragazzi di via Amendola».
Spericolati fino al tentato suicidio, e non soltanto giocando a «rollerball», sorta di calcetto senza regole sulle otto rotelle, nella pista della pineta di San Francesco, violata attraverso una falla nella recinzione, o saltando a Carrassi da una panchina a un marciapiede come stambecchi. Ma soprattutto, in concordia cameratesca, a Japigia trainati a velocità fotonica da ammirati topini che schizzavano su Vespini mutati in cannoni molecolari da esperimento: «Vai, Nino kittemmùrt!» «Attaccati, Robbè..!» «Lucio, mettiti al maniglione della Kawasaki… Me, mùvt’, u scème!». Una sfida con la morte, mentre la luna lassù faceva l’occhietto con i suoi crateri. Puro, pazzo divertimento. La scienza con il topinismo da scippo che si fanno sport estremo. Lì dove i pattini erano razzi che sfidavano le leggi d’equilibrio, a 70, 80 Km/h, fino a 100. Finché Nino in un’alba rovinò sul deserto d’asfalto liscio di via Caldarola riducendosi in pezzi.
E allora, dopo la degenza, non smisero, ma si moderarono: nostri indimenticabili, ammirabili, splendidi «ragazzi di via Amendola».