BARI - «Da un punto di vista criminologico, quello che registriamo ormai da qualche anno è che i social, le discoteche, i pub e i luoghi di aggregazione sono le aree in cui si scatena la necessità» per i giovani rampolli delle famiglie mafiose baresi «di manifestare apertamente, platealmente, spudoratamente la propria caratura criminale. Sembra tipico di certe generazioni, la necessità di affermarsi in questo modo, in maniera violenta e provocatoria». È l’analisi che il procuratore aggiunto di Bari Francesco Giannella fa del contesto nel quale è maturato l’ennesimo tragico fatto di sangue che ha visto protagonisti giovanissimi, con l’omicidio di una 19enne «vittima innocente», uccisa per errore nella discoteca Bahia di Molfetta.
«La vicenda - ha detto Giannella - si presta a tantissime domande e a molte riflessioni sulle modalità attraverso le quali vengono introdotte facilmente armi all’interno di questi locali, la poca sicurezza, il rischio anche per persone del tutto estranee. Poi la disponibilità di armi, la incapacità dei gestori di molti locali pubblici di garantire la sicurezza. C’è da farsi una serie di domande sulle ragioni per le quali questi giovani utilizzano questi territori per manifestare la loro caratura criminale». A tutti questi interrogativi la Dda di Bari sta cercando di rispondere. «Ci sono evidenze - ha spiegato il procuratore - che dimostrano che alcuni gruppi di ragazzi, quasi sempre appartenenti a famiglie di conclamata appartenenza criminale, vanno in questi posti non per divertirsi e ballare ma esclusivamente per provocare e cercare lo scontro». Negli ultimi due anni si sono verificati diversi episodi simili e «il filo rosso che li lega tutti è sempre lo stesso - ha detto Giannella - , ovvero la manifestazione spudorata di violenza, di prevaricazione, di prepotenza, che serve ad affermarsi e a dimostrare a tutti chi sono e di che pasta sono fatti» questi ragazzi.
Il tema della introduzione delle armi nei locali di intrattenimento «sicuramente è una cosa che deve essere sottoposta a chi si occupa di prevenzione e ordine pubblico» secondo Giannella e «deve vedere la collaborazione anche dei gestori. Quello che infatti cercheremo di approfondire è come viene gestita la vigilanza nei locali, perché bisogna capire chi, come e chi sono i soggetti che si occupano della vigilanza».
Per il sostituto della Dda che coordina le indagini dei carabinieri sul delitto di Molfetta, Federico Perrone Capano, «il fenomeno più preoccupante è che questi episodi li mappiamo almeno da due anni, ma se ci sono le indagini è solo merito degli investigatori. Non c’è stata una sola denuncia di un esercente, questi fatti li scopriamo solo attraverso il monitoraggio dei social. I video girano nelle chat ma non arrivano alle forze all’ordine, quindi noi siamo costretti a cercarli per capire. L’altro aspetto inquietante - ha concluso - è che i giovani rampolli delle casate criminali hanno ormai individuato le discoteche come luoghi in cui dare manifestazioni di forza. Quasi tutti i protagonisti di questi episodi che stiamo cercando di mappare sono le ultime generazioni di famiglie mafiose e la cosa che mi ha inquietato di più è che abbiamo interrogato sostanzialmente dei bambini, tutti poco più che ventenni».