Enrico Berlinguer all’origine della sua passione politica e un Pd popolare e autonomista come traguardo di un percorso che passa dalla conquista della segreteria nazionale del partito. Inizia domani a Bari la corsa congressuale di Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna. Una scelta «meridionalista» che vedrà una prima la tappa a Cerignola, nei luoghi di Di Vittorio, e poi l’evento clou nel capoluogo regionale (ore 16.30), all’AncheCinema, con il sindaco Antonio Decaro e il governatore Michele Emiliano.
Presidente Stefano Bonaccini, perché ha scelto proprio Bari come prima tappa del suo tour congressuale?
«Da amministratore sono abituato a toccare i problemi con mano, andando sul territorio e parlando con le persone. Il Mezzogiorno è la realtà che ovviamente ho conosciuto meno ma che mi interessa di più, per due ragioni: non ci può essere crescita per l’Italia se non decolla il Sud e qui ci sono potenzialità enormi da sprigionare, che spesso non sono messe a sistema. Bari mi sembra un luogo perfetto da cui partire, perché amministrata molto bene, ma in Puglia tornerò presto. Farò un giro dell’Italia toccando tutte le regioni e visitando cento Comuni, grandi e piccoli, dalle città metropolitane alle aree interne. Quando dico che voglio un partito capace di lottare e di ripartire dai territori intendo anche questo».
Di certo, «pesa» l’asse con il sindaco di Bari, Antonio Decaro, che qualcuno dava anche per candidato. Ci spiega l’evoluzione della vostra intesa?
«Decaro è uno dei sindaci più capaci del Paese e tra noi c’è sempre stata forte sintonia. Lui guida l’Associazione dei Comuni, io per cinque anni e mezzo ho guidato la Conferenza delle Regioni, la collaborazione è stata quotidiana. Pensiamo entrambi che dare maggior spazio nel nostro partito a sindaci, amministratori e territori sia un modo per rimettere al centro i problemi concreti degli italiani e per rinnovare completamente la classe dirigente nazionale: nei Comuni e nel partito a livello locale abbiamo donne e uomini capacissimi, che hanno fatto la gavetta e non possono più essere tenuti in panchina».
Bonaccini-Decaro, può diventare un ticket?
«Stiamo costruendo una squadra, non un ticket di due persone. Entro pochi giorni si vedrà che con me, Nardella e Decaro ci saranno tante e tanti che, insieme, diventeranno protagonisti di una nuova stagione, di un nuovo Pd. Il rinnovamento deve essere radicale, profondo, ma non improvvisato: donne e uomini sperimentati sul campo che abbiano dimostrato di saper far bene e che hanno una riconoscibilità e un consenso reali per il lavoro che hanno fatto».
Altro capitolo è quello che tocca il governatore pugliese Michele Emiliano, anch’egli disposto ad appoggiarla, nonostante inizialmente l’orientamento sembrasse diverso. Cosa è successo?
«Michele è un amico e non c’è mai stata distanza tra noi, nemmeno quando abbiamo fatto scelte diverse. Adesso è vicepresidente della Conferenza delle Regioni e quindi un punto di riferimento anche per me, esattamente come lui mi ha sostenuto lealmente quando è toccato a me guidare la Conferenza. Gli ho chiesto di sostenermi e di darmi una mano in questo congresso perché il progetto che ho in testa ha bisogno di un ruolo attivo da parte di chi governa le Regioni a guida Pd. E il rilancio del Mezzogiorno necessita certo del sostegno dell'intero Paese, ma partendo dal protagonismo del governo locale».
Decaro, Emiliano, la prima tappa al Sud. Tutto questo sembra avere molto a che fare con il tema dell’autonomia differenziata, di cui lei è storicamente un sostenitore, ma che a queste latitudini è spesso inquadrata come «una secessione dei ricchi», per usare un’espressione dell’economista Gianfranco Viesti. Insisterà su questo punto ritenendola un’opportunità anche per il Mezzogiorno?
«Voglio essere molto chiaro: non sosterrò mai un progetto di autonomia differenziata che penalizzi il Sud e spacchi il Paese. L’autonomia giusta, per Regioni e Comuni, è quella che libera potenzialità, che riduce la burocrazia e semplifica la vita per cittadini e imprese, che facilita gli investimenti. Le regioni del Mezzogiorno non chiedono più centralismo ma risorse per garantire servizi e diritti dei cittadini. E tutto il Pd deve sostenere questa battaglia sacrosanta. Non è la centralizzazione statale a risolvere queste questioni, come la storia ci ha insegnato, ma la perequazione delle risorse, degli investimenti, delle infrastrutture».
Ma è in corso una interlocuzione con Emiliano e De Luca su questo nodo? Loro aprono all’autonomia ma lei valuta le proposte che arriveranno da Sud per «sfumarla»?
«Non si tratta di sfumare ma di fare le cose giuste. Il confronto con loro non si è mai interrotto e il fatto che Calderoli abbia accantonato la sua prima proposta e il Governo abbia invece accelerato sui Lep lo considero un passo avanti, frutto del lavoro fatto insieme. Una buona riforma ha bisogno tanto dell’Emilia-Romagna quanto della Puglia e della Campania. O qualcuno pensa di poter fare una riforma del genere senza la piena condivisione delle due più grandi regioni del Mezzogiorno a statuto ordinario? Vedrete che insieme riusciremo a far fare un passo avanti alla discussione generale, con alcuni requisiti che riteniamo indispensabili: prima i Lep da garantire allo stesso modo in tutto il Paese, legge quadro e pieno coinvolgimento del Parlamento, basi che avevamo già condiviso nell’intesa con Francesco Boccia quando era ministro. Anche perché il Pd deve riscoprire e valorizzare la sua identità di partito nazionale amico delle autonomie».
Al di là di tutto, però, proprio questo tema dell’autonomia rischia di far inquadrare le sua candidatura come «nordista». Se diventasse segretario, quanto peso avrebbe la questione meridionale nella visione del futuro Pd e come immagina di declinarla?
«Se fosse così non sarei qui. Ma stiamo alla sostanza: il Sud è una questione nazionale e dal suo successo dipende il successo dell’Italia, non solo del Mezzogiorno. Un bambino nato a Bolzano nel 2021 ha un’aspettativa di vita in buona salute di oltre 67 anni, ma meno di 55 anni se è nato invece in Calabria: questo per me è inaccettabile, sia da italiano che da uomo di sinistra. E il Pd che dobbiamo costruire deve ripartire da qui. Per questo faremo una battaglia durissima per la sanità pubblica, universalistica e del territorio. Ma l’aspettativa di vita dipende anche dei servizi educativi e scolastici, della qualità del lavoro, dell'ambiente. Il Sud merita un progetto di sviluppo e domani a Bari parlerò di questo, non di lasciare le cose come sono. Faccio subito una proposta: proprio al Sud va sperimentata un’operazione “burocrazia zero”, prevedendo incentivi e sgravi automatici, per esempio attraverso il credito d'imposta. E a proposito del “nordista” mi lasci dire una cosa».
Prego.
«In questi anni ho vissuto il Mezzogiorno anche attraverso i racconti delle tantissime ragazze e dei tantissimi ragazzi che hanno dovuto lasciare la propria terra per cercare in Emilia-Romagna prospettive e opportunità, persone che con la loro tenacia e la loro capacità hanno contribuito a rendere la mia regione una terra di eccellenza. Non li ringrazierò mai abbastanza e chiunque sarà sempre il benvenuto, ma noi dobbiamo interrompere questa emorragia di energia e di vita: trattenere qui i giovani garantendo loro opportunità di lavoro e di crearsi una famiglia è il più grande progetto nazionale che un partito progressista possa darsi».
E veniamo al Partito democratico, negli ultimi anni vincente nel Palazzo ma non nelle urne. Cosa non ha funzionato?
«Il Pd si è assunto la responsabilità di garantire stabilità al Paese in momenti durissimi, dalla crisi economica internazionale alla pandemia: è stato giusto farlo, ma si è perso anche il contatto con molti italiani, che ci hanno percepiti più come amministratori condominiali che come un partito popolare impegnato a battersi al loro fianco. Adesso abbiamo davanti cinque anni di opposizione nei quali costruire un nuovo Pd, con una nuova classe dirigente e una identità chiara, che alle prossime elezioni torni a vincere e che vada al governo perché avrà vinto nelle urne, non per altre alchimie o sui social».
Ma lei che Pd ha in mente?
«Un partito di popolo e popolare. Un partito capace di ascoltare e di rispondere facendosi capire. Con progetti chiari su scuola e sanità pubbliche, presente nei luoghi di lavoro e dove si studia. Un partito impegnato a combattere per il lavoro e contro le diseguaglianze. Un partito ambientalista e che mette al centro i giovani e le donne».
Ha detto più volte che il Pd dev’essere il perno di un nuovo centrosinistra. Vorrebbe tener dentro sia il Terzo Polo che il M5S?
«A me interessa fare un nuovo Pd, più grande e competitivo. Dei 5Stelle o del Terzo Polo ci occuperemo dopo, visto che le prossime elezioni politiche saranno tra cinque anni. Casomai, con gli altri partiti bisognerà discutere di come fare un’opposizione più efficace: fino ad ora li ho visti più impegnati a criticare noi che a opporsi al Governo della destra».
La principale sfidante, al momento, è Elly Schlein, la sua vicepresidente in Regione. È davvero, come dicono, una sfida tra opposti? E quanto peseranno le correnti? La «ditta» è con la sua avversaria...
«Stimo Elly Schlein, con la quale abbiamo collaborato fino a poche settimane fa in Emilia-Romagna. Mi fa piacere che abbia scelto di rientrare nel Pd, partito dal quale io non me sono mai andato: dobbiamo costruire un partito nel quale ci possano essere anche tante e tanti come lei. Non sarà una sfida tra opposti ma tra proposte diverse e io avanzerò la mia, rispettando la sua. Se vincerò io le chiederò una mano, se vincerà lei sarò il suo primo sostenitore. Non se ne può davvero più di una classe dirigente divisa e litigiosa. Le correnti con me conteranno zero: non chiedo e non voglio il loro appoggio, né avranno spazi e rendite di posizione il giorno dopo».
Per conoscerla un po’ meglio: in questi anni da amministratore qual è la battaglia, fra quelle che ha combattuto, che la rappresenta dei più?
«Non voglio guardare indietro, ma avanti: pochi giorni fa al Tecnopolo di Bologna abbiamo inaugurato il supercomputer europeo Leonardo, primo per potenza in Europa, quarto al mondo, in una ex area industriale riqualificata per ospitare una cittadella internazionale della scienza, dei big data e delle nuove tecnologie, attirando migliaia di ricercatori dal mondo nei prossimi anni. Metterà l’Italia e l’Europa in grado di competere con Usa e Cina sulla frontiera più avanzata dell’innovazione. È grazie a questi investimenti e alla ricerca che lì si farà che nasceranno i lavori che faranno domani i nostri figli».
Scelga un personaggio politico del passato al quale si è ispirato o che, per lei, ha rappresentato un riferimento.
«Non ho alcun dubbio, Enrico Berlinguer. La mia passione politica e la mia militanza nascono da lui, anche per come era guardato e ammirato dai miei genitori».
Infine, se dovesse essere eletto, quale sarà il primo atto da segretario dem?
«Dirò grazie a tutta la comunità dei democratici, a chi ha tenuto duro in questi anni e a chi avrà voluto tornare o avvicinarsi a noi adesso. E poi andrò a incontrare Giorgia Meloni, non più in veste di presidente dell’Emilia-Romagna, ma di segretario del principale partito di opposizione. Le spiegherò che da noi avrà un’opposizione ferma ma mai ideologica. Che ad ogni “no” che diremo affiancheremo sempre una controproposta, anche se noi l’opposizione la faremo in Parlamento e nel Paese. E che da me avrà sempre rispetto: perché in democrazia si combattono le idee, mai le persone, e che siamo avversari e non nemici».