Se non gestiti, i flussi migratori aumenteranno. Dall’Ucraina se la guerra dovesse protrarsi, dai Balcani se dovesse deflagrare la crisi Serbia-Kosovo e dal continente africano che, nel 2050 conterà almeno 2,5 miliardi di persone. L’inazione non è un’opzione per l’Italia, banchina geografica d’Europa. Ecco perché il ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio dei ministri nel governo Meloni, Antonio Tajani, a pochi giorni dall’insediamento e forte di una competenza internazionale trentennale e ai massimi livelli, rilancia la naturale leadership diplomatica del nostro Paese, «in nome e per conto dell’Europa», soprattutto nei Balcani e in Africa.
Ministro, a pochi chilometri da qui - in linea d’aria Bari e Pristina distano meno che Bari-Roma - pare stia per riaccendersi l’antica ferita del conflitto tra Serbia e Kosovo.
«Noi stiamo facendo di tutto per far sì che ci sia una de-escalation. Ieri ho parlato con il presidente serbo Aleksandar Vucic e con il premier del Kosovo Albin Kurti e ho invitato entrambi a lavorare per la stabilità. Gli ho detto che facciamo appello alla loro leadership per evitare azioni unilaterali. Bisogna cercare di gettare acqua sul fuoco. Anche perché noi là siamo presenti con 720 militari in Kfor, poi ce ne sono 70 di Eufor-Althea in Bosnia ed Erzegovnia, 20 con Eluex in Kosovo e c’è un nucleo della Guardia di Finanza in Albania. Anche io penso di andare quanto prima nei Balcani Occidentali per cercare di favorire il dialogo. L’Italia è attiva anche attraverso il Quintetto (il Quintetto Nato Usa, Italia, Germania, Francia e Regno Unito; ndr) che deve agire per cercare di tenere i Balcani in condizioni di stabilità, anche perché è un’area che è geograficamente Europa, dove ci sono Paesi, come Montenegro, Serbia e Albania, che sono Paesi candidati e, ricordo, nel caso dell’Albania l’avvio dei negoziati è stata anche una vittoria del nostro Paese...
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