Il Capo dello Stato Sergio Mattarella scioglie il Parlamento, si voterà il 25 settembre. Mettere la parola fine alla legislatura «è sempre l’ultima scelta da compiere», dichiara il presidente della Repubblica, consapevole però che non ci siano più i margini per proseguire l’azione di governo e neanche per cercare altre maggioranze. A rendere evidente tutto ciò, osserva il Colle, è stata «la discussione, il voto e le modalità con cui questo voto è stato espresso ieri al Senato». L’Italia però non si può fermare: la crisi sociale morde, il Covid torna ad alzare la testa, il Pnrr deve essere attuato. Ed ecco quindi l’auspicio: pur nelle ore di una campagna elettorale - che Mattarella prevede «acuta e dialettica» - le forze politiche sono chiamate a dare un «contributo costruttivo nell’interesse superiore dell’Italia».
A metà pomeriggio, il premier Mario Draghi sale al Quirinale e controfirma il decreto per lo scioglimento del Parlamento. Pochi minuti e si riunisce il Consiglio dei ministri: il premier e il ministro dell’Interno propongono la data delle urne, il 25 settembre appunto. Poi toccherà di nuovo al presidente della Repubblica emanare il provvedimento. Conti alla mano, vuol dire che i partiti dovranno chiudere le liste per le candidature tra metà e fine agosto. «Sarà #ViminaleBeach», commenta ironico il deputato del Pd Stefano Ceccanti.
Ora quindi i partiti dovranno scegliere alleanze e candidati, poi dovranno mettere a punto i programmi. Il governo guidato da Mario Draghi, in carica per gli affari correnti, invece avrà il compito di mettere in campo alcune risposte necessarie a tamponare la crisi economica e sociale e a rispettare gli impegni con l’Europa nonché quelli internazionali, a partire dal lavoro diplomatico necessario per fronteggiare le conseguenze della guerra in Ucraina.
IL CDM
"Dobbiamo essere molto orgogliosi del lavoro che abbiamo svolto, nel solco del mandato del Presidente della Repubblica, al servizio di tutti i cittadini. L'Italia ha tutto per essere forte, autorevole, credibile nel mondo. Lo avete dimostrato giorno dopo giorno in questi mesi di Governo". Lo ha detto il premier Mario Draghi in Cdm.
"Porterò con me un ricordo molto bello di queste riunioni, degli scambi che ho avuto individualmente con voi. Ci sarà ancora tempo per i saluti. Ora rimettiamoci al lavoro". Lo ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi in Cdm. "Voglio ringraziare prima di tutto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la fiducia accordatami e per la saggezza con cui ha gestito questa fase di crisi. Voglio poi ringraziare voi tutti, per la dedizione, la generosità, il pragmatismo che avete dimostrato in questi mesi". ha detto il premier.
Il ringraziamento di Draghi
«Grazie per questo...Certe volte anche il cuore dei banchieri centrali viene usato». Mario Draghi sorride sobrio e commosso, mentre metà emiciclo a Montecitorio lo applaude (immobili 5S, Lega e FI) prima che annunci che sta per salire al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani di Mattarella. Le dimissioni il premier le aveva già comunicate ai suoi ministri prima che fosse lasciata cadere la sua richiesta di un nuovo patto per ripristinare l’unità nazionale. La risposta di Conte, Salvini e Berlusconi è stata un no rotondo. E il Capo dello Stato Sergio Mattarella si appresta ora a sciogliere le Camere, dopo aver convocato nel pomeriggio al Quirinale la Presidente del Senato Casellati e il Presidente della Camera Fico, in base all’articolo 88 della Costituzione che regola lo scioglimento del Parlamento. Un comunicato del Quirinale, letto dal Segretario generale Ugo Zampetti nella ufficialità di un video, spiega che Mattarella ha preso atto delle dimissioni del premier e del governo, che restano in carica per il «disbrigo degli affari correnti». Roberto Fico legge nell’Aula di Montecitorio la lettera di dimissioni del premier, che stamattina ha visto i Presidenti delle due Camere. Cresce intanto l’attesa per le parole del Capo dello Stato che - decisa la data delle elezioni - certo spronerà le forze politiche a rispettare il percorso di riforme che blinda il cammino del Pnrr.
Intanto i partiti sono a soqquadro. Dopo la Gemini, anche Renato Brunetta dice addio a Forza Italia: «Non sono io che la tradisco, ma è Fi ad aver tradito se stessa». Il Pd, con Enrico Letta, denuncia «ci hanno lasciati soli» e riflette sulla crisi del campo largo, mentre ripartono le grandi manovre al centro. Matteo Renzi chiama ad un «grande rassemblement che, in nome dei principi di questi mesi di governo Draghi, dica sì all’Europa e no a i sovranisti». Il centrodestra si è ricompattato sul voto anticipato ma già si divide su chi dovrà essere il condottiero. "Meloni? Non c'è nessun volto del centrodestra, si vedrà quando si andrà a votare. Avremo un programma politico ed economico, fondamentale la scelta Europeista e Atlantista, il nostro principale interlocutore sono gli Stati Uniti», gela le attese di Fratelli d’Italia il coordinatore di Fi, Antonio Tajani.
Si accelera verso le elezioni dopo le dimissioni di Draghi. Possibile votare nella data più ravvicinata in caso di scioglimento oggi, il 25 settembre. La Comunità ebraica ha chiarito che la data, vigilia di Rosh haShanah, il capodanno ebraico, non pone ostacoli: 'La solennità che inizia la sera consente ai fedeli di religione ebraica di esercitare il proprio diritto al voto nelle ore precedenti'. Il presidente della Repubblica Mattarella vedrà al Quirinale la presidente del Senato Casellati alle 16.30 e il presidente della Camera Fico alle 17. Poi annuncerà le sue decisioni.
Il commento di Emiliano: «Un enorme pasticcio»
«Ieri purtroppo l’hanno fatta gigantesca tutti quanti, hanno fatto un pasticcio enorme e hanno messo nelle condizioni il Governo e il presidente Draghi di doversi dimettere, in un momento in cui c'erano troppe partite aperte per poter interrompere l’attività di Governo». Lo ha detto il presidente della Regione Puglia e vicepresidente della Conferenza delle Regioni, Michele Emiliano. «Da destra a sinistra - ha detto - tutti hanno fatto un atto da campagna elettorale, non legato alle necessità del Paese, ma alla necessità di avere qualche deputato in più nel prossimo Parlamento, quindi li giudicherete sulla base delle loro finalità». «Se l’Italia nella formula dell’unità nazionale, fosse stata servita con maggiore generosità dalle forze politiche - ha continuato Emiliano - , anche facendo tra loro accordi forse difficili, complicati, innaturali, ma fatti nell’interesse dell’Italia, avrebbero fatto meglio. Hanno ancora tempo, speriamo che nella prossima legislatura non si giochi semplicemente come alle Olimpiadi a chi prende più medaglie ma a chi è in grado alla fine di portare l’Italia fuori dal guaio molto grosso nel quale si trova, essendo il Paese in maggiore difficoltà di tutta l’Unione europea».
«Oggi il nostro compito - ha detto il governatore pugliese - è continuare la vita quotidiana, perché ogni italiano la mattina si sveglia, organizza la famiglia, il lavoro, cerca di capire in che maniera ridurre le situazioni di maggiore difficoltà, se qualcuno è malato, se ci sono costi superiori a quelli previsti per far studiare un figlio, moltissimi si svegliano per andare a cercare un lavoro e io di queste persone mi occupo da vent'anni, con tante difficoltà, perché la politica è una grande palude nella quale servono dei Rambo che si acquattano per non farsi vedere dai coccodrilli».
«Immagino che il presidente della Repubblica sia molto arrabbiato come tutti gli italiani». Lo ha detto il presidente della Regione Puglia e vicepresidente della Conferenza delle Regioni Michele Emiliano. «Gli italiani sono in uno stato di amarezza che sfiora l’arrabbiatura profonda - ha aggiunto Emiliano -. Il presidente credo sia in questo sentimento. La mia vicinanza al presidente Mattarella, perché lui ha sempre rappresentato i sentimenti e gli interessi dell’Italia, a differenza di altri».
«Ci sono temi come l’attuazione del Pnrr, le risorse energetiche, l’aumento dei costi dell’energia che c'è bisogno di affrontare con un governo stabile. Rispettiamo le scelte che hanno fatto le forze politiche e i gruppi parlamentari, ci rimettiamo alle decisioni del presidente Mattarella». Lo ha detto il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro. «Se si dovesse andare a votare a breve, come sembra - ha aggiunto - , speriamo che ci sia un governo stabile, indipendentemente dal colore politico, che possa interloquire con i sindaci che devono dare attuazione a quelle risorse, anche attraverso ulteriori semplificazioni delle fasi autorizzative, altrimenti non riusciremo a rispettare l’impegno di spendere le risorse entro il 2026».
Il punto di vista di Bardi
«Credo che il Governo Draghi sia caduto per una serie di vicissitudini che sono legate più a un tema di carattere nazionale. Ritengo che in questo momento le Regioni facciano ancor di più, debbano essere un punto di riferimento per i cittadini». Lo ha detto il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi (centrodestra).
«Non credo che - ha continuato il governatore lucano - ci saranno ripercussioni a livello regionale, dobbiamo continuare a essere uniti e coesi per portare avanti quei programmi che ci eravamo prefissi soprattutto - ha aggiunto - senza farci sconvolgere da questo momento storico. Il Governo nazionale va rieletto - ha concluso Bardi - ma noi abbiamo degli scopi precisi da portare avanti nell’interesse di tutti i cittadini».
La giornata di ieri
Mario Draghi non ha più la maggioranza. Alla fine di una giornata «di follia», come la riassume il segretario del Pd Enrico Letta, il non voto in Senato da parte non solo del Movimento 5 Stelle ma anche del «centrodestra di governo», come hanno continuato a definirsi fino all’ultimo Lega e Forza Italia, certifica la fine delle larghissime intese. Non c’è più quella unità nazionale che, nelle parole del premier in Aula, garantiva «legittimità democratica ed efficacia» all’esecutivo. La fiducia, tecnicamente, Draghi la incassa comunque da parte di Pd, Leu, Ipf, il centro di Toti. Ma ottiene solo 95 sì. Un dato che lo porterà ad annunciare le dimissioni all’inizio del dibattito sulla fiducia alla Camera per poi salire in giornata al Quirinale.
Non sono bastati, insomma, i 5 giorni di decantazione che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva imposto al premier prima di rendere definitive le dimissioni, annunciate perché era venuto meno quel «patto di fiducia» che Draghi ha riproposto al Parlamento. Ma con toni e modi che hanno fatto infuriare soprattutto la Lega, poi tutto il centrodestra, riunito a Villa Grande. Ma anche i 5 Stelle, per «l’atteggiamento sprezzante», come lo definisce Giuseppe Conte, silente per tutto il giorno, ma che a sera sbotta: «Siamo stati messi alla porta».
«Noi ci siamo» ma «con una nuova maggioranza e un nuovo governo», con i 5S fuori, tuona nell’emiciclo di Palazzo Madama il capogruppo leghista Massimiliano Romeo. Una posizione dura, su cui Lega e Fi arrivano unite in Aula, anche se gli smottamenti iniziano subito dopo, con l’addio, che fa rumore, di Mariastella Gelmini al suo partito. La condizione posta dal centrodestra, si guardano intanto sconsolati alcuni ministri, è «irricevibile» per Draghi.
Basta ambiguità, è la richiesta del premier nei 36 minuti del suo intervento. Si rivolge, senza citarli direttamente, soprattutto a Lega e M5s che non a caso non si uniscono all’applauso che segue la fine del discorso in Aula. La Lega non applaude mai, notano con una certa soddisfazione gli alleati di Fdi. Certo, Draghi apre all’autonomia, alla riforma delle pensioni, ai miglioramenti al reddito di cittadinanza, al mantenimento degli obiettivi di transizione ecologica, alla risoluzione delle criticità sul Superbonus. Ma poi, incalza: non si può chiedere la sicurezza energetica per gli italiani e al tempo stesso «protestare» contro i rigassificatori. Non si possono sostenere le riforme e poi dare la sponda alla piazza, come nel caso dei taxi. Bisogna continuare ad armare l’Ucraina perché resta l’unico modo «per aiutare gli ucraini a difendersi». Nella replica, invece, è duro ed esplicito. Risponde alle critiche del M5S su superbonus e salario minimo. E respinge l’accusa di diversi senatori di avere di fatto chiesto «i pieni poteri»: «La democrazia - quasi sibila - è parlamentare ed è la democrazia che rispetto e riconosco».
Per tentare fino all’ultimo di salvare il salvabile i partiti della oramai ex maggioranza chiedono ancora un’ora e mezza di tempo. Si cercano fino all’ultimo schemi e strategie per tenere ancora in piedi la legislatura. Parte un giro di telefonate tra i partiti e il Colle («Berlusconi aveva comunicato la nostra proposta» a Draghi e Mattarella, precisano da Lega e Fi). Letta arriva al Senato e vede prima D’Incà e Franceschini, poi Roberto Speranza e Giuseppe Conte. Ci si appiglia anche alle regole procedurali: se Fi Lega e M5S non partecipano al voto manca il numero legale, l’ultima speranza dei governisti. Ma i 5 Stelle restano in Aula, il numero legale c’è e la fine dell’unità nazionale viene regolarmente certificata. «Abbiamo fatto il possibile» per evitare l’epilogo peggiore di una giornata «drammatica», dice a caldo il Pd, che più di tutti si è speso per scongiurare il voto anticipato. Una «pagina nera per l’Italia», la politica «ha fallito», aggiunge Di Maio. E ora, prevede Enrico Letta, «si andrà a elezioni rapidamente».
Ma decidere i tempi sarà il Quirinale dove Draghi dovrebbe appunto salire oggi, dopo il passaggio, probabilmente rapido, a Montecitorio per annunciare che si dimetterà.