BARI - «Stiamo meglio là che ad Afragola», diceva nel 2017 Francesco Di Santo ai suoi sodali napoletani raccontando della missione in terra pugliese. Nel mondo di mezzo tra Foggia e il Salento, il clan campano Moccia è riuscito a prosperare in un brodo di coltura fatto di politici permeabili, di intramontabili malamente e di qualche vecchio arnese buono per tutte le stagioni. Si sono capiti al volo. Perché quel Roberto Falco, il leader barese di Forza Nuova più volte visto in questi mesi a guidare le rivolte no-vax, no-green pass e i gilet arancioni, si era presentato al quartiere San Paolo dall’uomo del clan napoletano per chiedere il pizzo, d’altronde sempre pagato dai precedenti proprietari. Ma si è reso conto subito di avere di fronte uno come lui. «Però siamo diventati amici».
È così che Falco diventa, per dirla con le parole del gip Maria Luisa Miranda che ha disposto gli arresti di ieri, «di fondamentale importanza per gli interessi economici dell’organizzazione afragolese in quanto forniva un apporto indispensabile anche per racquisizione di nuovi clienti». Nella ditta Soloil Italia di cui Di Santo - secondo la Procura di Napoli - è prestanome dei Moccia, Falco fa assumere la compagna del figlio e mette la moglie come legale rappresentante. E poi si mette a lavorare per risolvere problemi.
È allora che in questa storia spunta Pasquale Finocchio, per i napoletani O’Professore, uno che per vent’anni ha fatto il consigliere comunale a Bari nelle liste del centrodestra e ha raccattato voti risolvendo i piccoli problemi quotidiani della gente. Secondo il gip, Finocchio non sapeva di avere a che fare con dei mafiosi. Fatto sta che interviene. Chiama il sindaco di Casarano, Gianni Stefano, per provare a risolvere i problemi della Soloil con delle colonnine per la raccolta dell’olio usato, crea all’azienda un contatto con i titolari della Ladisa, interviene sugli uffici della Provincia per sbloccare una autorizzazione. E - a dire di un collaboratore barese di Di Sarno, lo stesso che tramite un suo amico aveva agganciato Finocchio -, per questa sua opera chiedeva denaro. Il napoletano non l’ha presa troppo bene: «Ma sto presidente è troppo mangione!».
Non era l’unico ad agitarsi intorno al clan dei napoletani. C’è l’imprenditore Giuseppe D’Elia, finito ai domiciliari, che per Francesco Di Sarno era «la chiave dell’acqua». «Era stato il tramite - annota il gip - per avviare i rapporti con politici locali e con il gruppo imprenditoriale Lombardi, all’epoca titolare dell’appalto per la raccolta dei rifiuti nel comune di Maglie». La Soloil accarezzava la possibilità di conquistare l’appalto ponte annuale da 2,4 milioni, ma per partecipare aveva bisogno di una autorizzazione ambientale della Provincia per la nuova sede di Modugno. Per ottenerla, secondo le intercettazioni, «ci vogliono le polpette», i soldi, che non sono stati trovati.
A Lecce nell’aprile 2017 i napoletani agganciano, tramite D’Elia, l’assessore Andrea Guido. Anche qui l’obiettivo è l’appalto per lo smaltimento degli oli. Sono giorni di campagna elettorale e, anche qui, si capiscono subito. «Diglielo a questo assessore che glieli facciamo noi i volantini, fatti dare un campione! Glieli facciamo noi!», dice Di Sarno che grazie all’assessore punta a conquistare tutta Lecce. «Ci siamo presi 23 clienti e tutti gli esercenti, ce li siamo presi tutti quanti, compresi... Adesso stamane abbiamo messo mano su Otranto, 139 esercenti». Il clan prepara due buste, come racconta uno dei collaboratori: «E ci sedemmo fuori dal terrazzo vicino alla moglie, Carla “porta un poco qualcosa per bere, fai il caffè, cose...” e teneva queste due buste, “assessore” e “Giuseppe”». Una con 2.500 euro, l’altra con 500. «E stiamo sempre a dire le stesse cose. Non è che questi tremila euro, diciamo, perché li sta dando all’assessore sono soldi dello Stato... Sono soldi cacciati dalla sua tasca, e però voglio dire... Assessore, diciamo, noi abbiamo smontato le colonnine della Monteco, e nel frattempo sta avendo 2.500 euro l’assessore, nel frattempo noi siamo andati all’isola ecologica... E allora okay prenditi questi 2.500 euro poi fra il dieci giugno, l’undici giugno si voterà... Appena sali, il giorno dopo si prende altri 2.500 euro, così sono stati stabiliti i fatti». Alla fine vince il centrosinistra, Guido finisce all’opposizione e - dice l’indagine - dovrà accontentarsi di 1.500 euro.
Chi indaga parla della «incredibile capacità del Di Sarno, partecipe del clan Moccia, di intrattenere rapporti con qualsivoglia organizzazione criminale sul territorio nazionale». Nell’ottobre 2016 ad Afragola si presenta un imprenditore di Deliceto che aveva versato 25mila euro «a esponenti del clan mafioso Sinesi-Francavilla per essere autorizzati a fare nuovi investimenti», ma si era trovato di fronte a un concorrente di Andria che - attraverso uno storico esponente della mafia salentina - aveva dato ai Sinesi 100mila euro per prendersi il mercato degli scarti delle carni di Foggia. Di Sarno fa di nuovo intervenire Falco, rischiando di scatenare una guerra. Del resto l’imprenditore campano non ha ben presente la geografia criminale pugliese. Quando un suo collaboratore lo porta in tour per il Salento (Gallipoli, Porto Cesareo, Carmiano, Monteroni...) a incontrare i referenti della zona, Di Sarno perde un po’ la bussola. «Questo è il figlio del mastro? E dove sta?». «A Parma?». «Ah sta carcerato! Come si chiama la famiglia?». «Conte». «Conte? Mi devo segnare un momento queste famiglie. Non me lo ricordo mai. Dammi un po’ di carta e penna! Devo scrivere il boss? Quell’altro invece?».