TARANTO - A quasi 10 anni dal sequestro, lo stabilimento siderurgico ex Ilva non è più fonte di malattia e morte per chi ci lavora e per chi abita nella vicinanze. È quanto sostengono gli avvocati Angelo Loreto e Filippo Dinacci, legali dell’amministrazione straordinaria proprietaria del complesso aziendale gestito dall’1 novembre del 2018 in fitto finalizzato all’acquisto da ArcelorMittal prima e da Acciaierie d’Italia poi, in una istanza finita all’attenzione della corte d’assise di Taranto, organo giudicante competente non avendo ancora depositato le motivazioni della sentenza del processo «Ambiente svenduto», emessa il 31 maggio scorso, procedimento nell’ambito del quale fu disposto il sequestro.
Ilva in amministrazione straordinaria ha presentato alla Corte d’Assise di Taranto un’istanza di dissequestro per gli impianti dell’area a caldo del siderurgico. Gli impianti sono sotto sequestro dal 26 luglio 2012 in base a un’ordinanza dell’allora giudice per le indagini preliminari di Taranto, Patrizia Todisco, durante l’indagine ‘Ambiente svenduto’, ma all’azienda è da tempo concessa la facoltà di usarli. Per questi impianti i pubblici ministeri, nella requisitoria del processo nato da quell’inchiesta, hanno chiesto la confisca, richiesta poi accolta dalla Corte d’Assise con la sentenza dello scorso maggio.
Secondo i commissari straordinari di Ilva in As è cambiato lo scenario delle emissioni rispetto a dieci anni fa grazie ai lavori ambientali e ci sono i presupposti per revocare i sequestri. La Corte d’Assise di Taranto che ha ricevuto l’istanza, è la stessa che l’1 giugno 2021 ha emesso la sentenza di primo grado del processo «Ambiente Svenduto», infliggendo 26 condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per 270 anni di carcere e disposto sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici per una somma di 2,1 miliardi. Tra i principali imputati, spicca la condanna rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva. Le motivazioni della sentenza non sono ancora state depositate.
LE PAROLE DEI LEGALI DEI COMMISSARI ILVA
I legali dei commissari di Ilva in Amministrazione straordinaria hanno presentato alla Corte d’Assise di Taranto un’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, ora gestito da Acciaierie d’Italia. Sono gli impianti sotto sequestro dal 26 luglio 2012 in base a un’ordinanza che firmata dal gip Todisco nell’ambito dell’inchiesta per associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
All’azienda fu poi concessa la facoltà d’uso. Secondo i commissari straordinari di Ilva in As è cambiato lo scenario delle emissioni rispetto a dieci anni fa grazie ai lavori ambientali e ci sono i presupposti per revocare i sequestri.
La Corte d’Assise di Taranto che ha ricevuto l’istanza è la stessa che il 31 maggio 2021 ha emesso la sentenza di primo grado del processo «Ambiente Svenduto» infliggendo 26 condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per 270 anni di carcere e disponendo sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici per una somma di 2,1 miliardi. Tra i principali imputati, spicca la condanna rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva. Le motivazioni della sentenza non sono ancora state depositate.
Per i commissari dell’Ilva in As, «le garanzie soggettive di discontinuità rispetto alla gestione che aveva originato il sequestro in atto sono assolute e non richiedono ulteriori specificazioni». Lo scrivono gli avvocati Angelo Loreto e Filippo Dinacci, legali della gestione commissariale, nella istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico ex Ilva (ora Acciaierie d’Italia di Taranto. La richiesta «di restituzione di bene sottoposto a sequestro preventivo» è di 28 pagine. Si tratta degli impianti sotto sequestro dal 26 luglio 2012 in base a un’ordinanza che firmata dal gip Patrizia Todisco nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale denominata «Ambiente Svenduto». Per i legali «non è revocabile in dubbio che i beni sottoposti a sequestro debbano essere considerati, in ragione dell’attuazione del Piano Ambientale, radicalmente diversi da quelli che, originariamente, avevano consentito la perpetrazione dei reati contestati». Il dissequestro degli impianti è una delle condizioni sospensive poste da Acciaierie d’Italia per mantenere la gestione del Siderurgico con Invitalia. "Lo stabilimento - è detto nella istanza alla Corte d’Assise - è attualmente esercitato da un Gestore altamente qualificato, in esecuzione di un contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato nell’ambito di una cornice normativa».