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Palo del Colle, un professionista racconta il suo calvario: positivo al Covid da due mesi

 
Leo Maggio

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Leo Maggio

Ha 44 anni e confinato nella sua abitazione non riesce a eseguire esami clinici per un'altra malattia cronica

Domenica 03 Gennaio 2021, 09:42

«Il Covid non è solo solitudine e sofferenza. È anche l’inquietante attesa che tutto si risolva senza stare peggio». Lo sfogo è di un libero professionista di 44 anni, entrato nel tunnel del contagio agli inizi di novembre e, tra alti e bassi, ancora positivo a diverse settimane dal primo tampone.
Adesso incombe l’urgenza di nuovi esami diagnostici per vecchi problemi di salute. «Ho assolutamente bisogno di esami e accertamenti clinici che nelle mie condizioni non mi è permesso fare - tuona il 44enne -. I positivi sono i nuovi emarginati. È assurdo».
Un contagio avvenuto all’interno del nucleo familiare. Una guerra combattuta anche contro le anomalie di un servizio sanitario soffocato dalle emergenze e dalle modalità di una comunicazione tra le parti che viaggia essenzialmente via mail, telefono e chat private.

«I primi sintomi sono iniziati il 2 novembre con una piccola febbre. Spero non sia nulla. Il mio medico curante apre la procedura ma nessuno della Asl si fa vivo per un tampone», racconta. I giorni passano. Prima settimana febbre a 37º. Poi a 39º. Ma del tampone nemmeno l’ombra. «Non sapevo se fosse Covid o no», confessa l’uomo che in quei giorni era stato sottoposto dal suo medico curante a una terapia a base di cortisone, antibiotici e antipiretici.
Con la febbre ancora alta chiama il 118. Giunge l’automedica ma per i sanitari basta una flebo di cortisone. La febbre va giù ma torna più alta di prima nel giro di 24 ore. Intervengono i medici dell’Usca ma anche per loro è sufficiente continuare la terapia domiciliare. «Dopo dieci giorni a casa stavo troppo male - racconta -, non avevo tosse ma mi sentivo debolissimo, avevo la febbre, respiravo male».

Al 44enne non resta che implorare l’arrivo del 118. «Avevo urgente bisogno di andare in ospedale. Se avessi continuato a stare a casa in quelle condizioni, non ce l’avrei fatta». Siamo al 12 novembre, arrivano l’ambulanza, il ricovero in ospedale e il primo tampone: positivo. La diagnosi: polmonite bilaterale da Covid. Il paziente viene collegato al ventilatore polmonare. La febbre inizia a scendere, c’è il miglioramento. Con la sanità in emergenza, servivano però posti letto e il 25 novembre viene dimesso nonostante sia ancora positivo. L’11 e il 18 dicembre il libero professionista viene chiamato dal Dipartimento di prevenzione della Asl di zona per essere sottoposto a nuovo tampone. Viene indirizzato al drive through di Molfetta. «Tra l’andata e il ritorno ho dovuto guidare per oltre 50 km. Questa cosa non mi sembra normale, avendo il drive through di Grumo, a due chilometri», spiega. Il calvario però continua e, ad oggi, è ancora positivo. La moglie, pur essendo negativa, è in isolamento insieme a lui.

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