Davvero Pablito è il Maradona d’Italia?
«Perché, si meraviglia?»
Tanta retorica non aiuta, non trova?
«Le racconto un aneddoto. Eravamo in Brasile per il Mundialito. Dovevamo prendere il taxi per andare a cena. Un paio di tassisti riconobbero Paolo e non si fermarono, ancora offesi per il 3 a 1 dell’82».
Franco Selvaggi è sull’auto che lo porta assieme alla moglie a Vicenza, per l’ultimo saluto a Paolo Rossi. Ha 67 anni, Franco. Materano di Pomarico, è l’inventore dell’«elastico» (zig zag fulmineo con la palla prima all’esterno e poi all’interno) che piantava in asso i difensori. Ha fretta di arrivare in tempo per l’ultimo saluto a Pablito, un modo per riabbracciare i ragazzi «fratelli» della nazionale italiana con i quali nel 1982 salì sul tetto del mondo rovesciando ogni gerarchia. Non è al volante, parla come un fiume in piena.
Lei, Selvaggi, panchinaro di lusso; lui, Paolorossi tutto attaccato, eroe in costruzione. Com’erano i vostri rapporti?
«Non ha mai fatto pesare nulla. Ero molto legato (secondi di silenzio, poi la voce torna, lenta). Come tutti noi azzurri, perché Paolo era amico di tutti, avevo un rapporto splendido, rimasto nel tempo. Ha ragione Collovati, se siamo campioni del mondo è grazie ai gol di Paolo. Anche le nostre famiglie si sono conosciute. Quando ero al Toro e lui alla Juve cenavamo insieme. Mi faceva vedere le lettere che riceveva dalla Lapponia, dal Madagascar. Mi diceva sempre che sarebbe voluto venire a Matera per visitare i Sassi e con l’occasione avrebbe fatto due giorni di lezioni ai bambini della mia scuola calcio. E poi in quel Mondiale non c’era un’Italia di titolari e un’altra di riserve. Si ricorda chi c’era in panchina?»
Certo, gente come Baresi, Vierkwood, Massaro, Causio
«Appunto. Gente che nei club ha vinto tutto. E in allenamento a volte eravamo noi a vincere la partitella contro i titolari»
Ha riscritto il modello della punta, Rossi, in quegli anni che impazzavano i Titani. Concetto abusato anche questo?
«Un po’ sì. Non era solo veloce, era anche tecnico e intelligente. Ogni sua posizione davanti alla porta non era casuale. Io forse ero anche più tecnico di lui nell’esecuzione, ma non riuscivo a fare i gol che faceva lui. Per fare gol di “rapina” devi saper rapinare. E ci vuole taento per farlo. Ha anticipato i tempi. Di attaccanti leggeri, mi sembra che ne abbiamo ancora oggi, no? Non c’è solo Ibra, ci sono Mertens, Mbappè e potrei continuare»
Quindi, la “lezione” la sciata da Pablito è ...
«... è che non devi arrenderti mai. È esploso con un paio di menischi in meno. Non è da tutti. Il calcio è sacrificio. E poi non si lamentava mai. Si lasciava scivolare tutto. Forse troppo»
Come, troppo?
«Beh penso agli anni di squalifica per il calcio scommesse. Gli dicevo: ma se sei innocente perché non t’arrabbi e non urli? Ma lui era fatto così, preferiva guardare avanti e si lasciava scivolare tutto. Anche in campo, quando i difensori lo buttavano giù. Non protestava, pensava a anticiparli per fare gol. Ecco, sacrificio, talento, tecnica e umiltà. Guardi che la tecnica non va più di moda perché la può insegnare solo chi ce l’ha»
Nemmeno l’umiltà sbanca o no?
«Nemmeno quella. Eravamo a Maratea, Paolo doveva girare un video. Arrivò con ore di ritardo pur di non dire no a chi lo fermava per strada per prendere un caffè. Ho perso più di un amico».