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«Emiliano e Lopalco? Si fermino», parla Lena Gissi, segretario generale Cisl Scuola

 
Alberto Selvaggi

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Alberto Selvaggi

«Emiliano e Lopalco? Si fermino», parla Lena Gissi, segretario generale Cisl Scuola

«Disastro evitabile: le colpe del ministro Azzolina»

Lunedì 02 Novembre 2020, 11:52

Francamente non vorrei essere nei suoi panni, Maddalena Gissi, cioè Lena, di Bari, segretario generale della Cisl Scuola, la più grande realtà sindacale del comparto intontito da un delirio dodecafonico squisitamente italiano.
«Beh, è una condizione lampante. Ma non tutto viene dal cielo e questo psicodramma si poteva evitare. O ridurre mediando fra le diverse istanze della società. Temo che il governo, i referenti regionali non conoscano a fondo il soggetto sul quale intervengono in modo inadeguato. E non abbiano contezza di quanto sia vasto nel suo indotto il mondo della scuola».

Non ne ho contezza anch’io, signora Gissi.
«Stiamo parlando, grosso modo, della metà o quasi della popolazione italiana. A questo si poteva anche pensare preventivamente, insieme attorno a un tavolo, scongiurando guai, quale il vettore dei trasporti, probabilmente il principale. Il confronto che mette da parte posizioni politiche e personalismi, al contrario, porta a risultati concreti e rapidi: qualche giorno fa abbiamo firmato al ministero della Pubblica Istruzione il contratto integrativo sulla Did, Didattica integrata digitale. Vengono pertanto regolati tempi e modalità in ogni ambito. Strumenti in comodato anche ai precari, connessione e aiuti per ragazzi in difficoltà. Lezioni sincrone video, con interattività per il feedback immediato. In digitalizzazione verranno investiti 600 milioni per il personale nella legge di bilancio, 85 per nuovi computer e connettività».

Chissà che cosa avrà pensato quando il governatore della Puglia e il suo assessore alla Sanità hanno murato d’emblée anche la scuola primaria.
«Esattamente ciò che hanno pensato le prime vittime, i dirigenti scolastici, gli insegnanti, il personale, gli alunni, i genitori, i parenti».

Dei genitori s’è visto: hanno inscenato la «rivolta degli zaini» scagliando maledizioni disperate.
«Può includere anche me in quella fascia. Ho due figli, uno nato nel ’77 e l’altra nell’84. Quattro nipoti, Aureliano, di 11 anni, Brunella, otto, Haile, tre e mezzo, Juri Nino di quattro mesi, Nino come mio marito che ho perso tre anni fa. Vivo direttamente ciò che accade. In una famiglia, mi consenta la battuta, improntata verso una natalità che rende grazia alle iscrizioni scolastiche e al corpo insegnante. Conservo ancora il mio posto al Duse, istituto comprensivo di frontiera nel quartiere San Girolamo di Bari che mi ha donato un’esperienza straordinaria grazie a Gerardo Marchitelli, dirigente scolastico. Per cui condividere mi è facile».

Causa pressione mediatica Lopalco ed Emiliano hanno avviato una ritirata parziale sulle elementari riavvicinandosi al regolamento nazionale: forse, se, in parte, vediamo.
«E questo fa sorridere, ma ancor di più masticare amaro. L’ennesima iniziativa avventata. Con il medesimo impeto autocratico, improvviso, unilaterale. È inammissibile chiudere tutto da un giorno all’altro. Michele Emiliano e Pier Luigi Lopalco hanno questo come colpa principale: avere deciso senza consultare. Avere imposto, senza avvisaglie, un provvedimento che ricade come una scure sull’intero mondo della scuola e sugli ambiti ad esso collegati, quando i giochi erano stati già definiti, quando tutto da noi era stato con fatica terribile riorganizzato. Mi domando se credano di avere per le mani un giocattolo composto da aule e da banchi con le rotelline, o una comunità estremamente complessa. Basta coi protagonismi personali. Va risolta la discrasia tra ministero, Regione ed enti locali. Non si può affrontare una situazione sanitaria drammatica senza la presenza di un tavolo permanente. Questo significa consultarsi preventivamente, e non a posteriori dopo l’ennesimo sfascio. Significa interconnettere le realtà in campo in modo da stabilire un’azione più efficace e organica».

La decisione di Emiliano, impopolare per uno perennemente assetato di consenso popolare, deriva dal fatto che in Puglia stanno, anzi stiamo alla canna del gas ancor prima di incominciare. I medici per primi hanno implorato. La derelitta, squalificante sanità pugliese sta precipitando. E ormai si va in tutt’Italia verso la chiusura totale delle scuole e il lockdown. Emiliano e Lopalco hanno giocato d’anticipo per necessità.
«E io lo capisco, li capisco, sono certa anch’io che questo sia il movente di quanto è stato adottato. C’è una catena di azioni conseguenziali al sistema scolastico che rischiano di fare implodere gli ospedali, già messi molto male. Però le colpe ci sono, e non sono soltanto di Emiliano e di Lopalco, ma anche del ministro Lucia Azzolina, sul territorio nazionale».

Dopo le parole: i fatti.
«I fatti sono semplici. E richiedevano un impegno costante sul quale ha pesato parecchio l’affannarsi elettorale. Non sono mai arrivati i docenti di supporto per i turni alternati. Fondi volatilizzati. I banchi con le rotelline, che non mi paiono la panacea in un indotto di promiscuità pari agli ospedali, non sono stati consegnati. Milioni sprecati. Non si è concretizzato il piano per l’adeguamento delle aule. Il tracciamento è nel caos. I tempi della quarantena preventiva non sono stati valutati in rapporto alla velocità necessaria a garantire il diritto all’istruzione dei ragazzi: e la lentezza è alleata della diffusione del Covid nelle classi. Al di sopra di ogni cosa c’è poi il sistema dei trasporti, veicolo pandemico allarmante. Dico: queste cose non le conoscevano? O le hanno apprese soltanto nell’istante in cui l’anno di studi è incominciato?».

E cosa propone lei, segretario nazionale eletto a larghissima maggioranza cinque anni fa?
«Ne cito una: abbiamo un Esercito mi pare, no?».

Sì, e le assicuro che non spara mai.
«Bene, che l’Esercito ci dia una mano allora. Anche soltanto allestendo tende per controlli e tamponi davanti alle scuole. Ancora: oltre al sistema di trasporti pubblico, non proprio esemplare, esiste quello privato. Ecco un altro interlocutore al quale avrebbero dovuto rivolgersi i governi centrale e regionale».

Io suggerirei anche commesse di tranquillanti per i prof scoppiati, che devono reinventarsi un metodo di insegnamento e una vita quotidiana ogni cinque minuti, visto che le regole, già confusionarie, cambiano a ogni alito.
«Stanno vivendo tutti un pesante stato di tensione, di incertezza, ha ragione. Ma anche di rischio nelle lezioni in presenza: un particolare che temo sia stato scarsamente valutato. L’eroismo non si esprime soltanto nei reparti d’ospedale ma anche tra i banchi. E se adesso i banchi sono vuoti, qualcuno politicamente ne risponderà, per mancanza di lungimiranza, per superficialità, e non voglio pensare ad altro, non è il momento di polemizzare».

Secondo lei ha ragione Azzolina o Emiliano che si fronteggiano sul campo?
«La scuola aperta in Italia aveva bisogno di interventi che sono mancati. La scuola aperta in Puglia paga anche le colpe del governatore».

Dopo questa sortita teatrale locale secondo lei gli insegnanti stanno meglio o peggio di come stavano già male?
«Stanno ancora peggio. Si è approfittato molto della loro buona volontà. Ci sono docenti che tradiscono il loro ruolo, certamente, non sono mica tutti santi, ma quelli che si impegnano sono in maggioranza. E se questi ultimi vengono strattonati, se si sentono vittime e sfruttati, inevitabilmente reagiranno. I più irritati sono i dirigenti scolastici: serpeggia voglia di ribellione».

Insegnanti schifati, sottopagati, quando non presi a schiaffi, e adesso pure imbecilliti dal garbuglio burocratico montante e dalla ragna digitale. Ne conosco parecchi che vivono scannati: 75 per cento sulla base delle classi, 75 per cento sul numero di iscritti, registri cartaceo e digitale, Pdm, Pcto, Bes a manetta, Dsa, Did o Dad, Fis… Soltanto ad ascoltarli mi sento male.
«I professori pagano l’autoreferenzialità che nella società ha sostituito il valore comunitario. A Palermo, per citare un caso, un docente ha fatto domanda di trasferimento dopo essere stato massacrato dal padre e dal fratello di un suo studente. Non ha osato denunciare. L’ho conosciuto: una larva umana, ancora traumatizzato e sotto psicofarmaci».

Bei tempi quelli in cui, dopo la bacchettata santa a scuola, si buscavano pure scapaccioni a casa.
«Senza punizione la consapevolezza del giusto non viene sviluppata. Sa cosa feci quando mio figlio, sempre molto educato, un bel giorno fu scorretto e un po’ bulletto in classe? Dopo che la professoressa lo punì come meritava, gli sequestrai l’album delle figurine dei calciatori e glielo feci in mille pezzi piano piano».

Brava.
«E ancora oggi mi ripete: sai mamma, quello per me resta il dolore più grande da quando sono nato».

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