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Il Coronavirus in campo: la serie A nel pallone

 
Fabrizio Nitti

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Fabrizio Nitti

Il Coronavirus in campo: la serie A nel pallone

L’Italia intera si interroga sulle misure che si sarebbero dovute adottare

Mercoledì 30 Settembre 2020, 10:07

Focolaio, quarantena, tamponi, isolamento: sono termini che negli ultimi sette mesi abbiamo imparato, nostro malgrado, a conoscere. Fin troppo bene. Parole che sono entrate a far parte del vocabolario quotidiano. Eppure, era difficile immaginarli affiancati al calcio dei nostri tempi, nel quale Cristiano Ronaldo (uno degli esponenti più fulgidi del mondo del pallone) rappresenta l’emblema dell’atletismo e della forza all’ennesima potenza.

Il «caso Genoa» mostra la cruda realtà: il Coronavirus non solo infetta sportivi in perfetta salute (e tale realtà era già stata ampiamente dimostrata con i casi pre e post lockdown), ma si propaga pure a velocità supersonica quando trova le condizioni ideale per diffondersi. E non c’è dubbio che la vita comune tipica di uno sport di squadra (peraltro di contatto) sia un contesto ideale per potenziali contagi. L’Italia intera si interroga sulle misure che si sarebbero dovute adottare. E, come spesso accade analizzando i crismi di questa pandemia, i pareri sovente contrastano tra loro. Si può discutere sull’esito dei tamponi o, più probabilmente, sull’opportunità di rinviare una partita (Napoli-Genoa) che può generare un focolaio forse persino più grande di quello già scaturito. Forse sarebbe stato più saggio isolare il «gruppo squadra» (come viene definita la rosa di questi tempi) ligure, già colpito da due «positivi» (Perin e Schone) e rispettare i tempi canonici di quarantena. Una scelta che, probabilmente, è consigliabile anche nei confronti del Napoli, onde non alimentare un processo pericoloso.

Magari mettendo da parte qualsiasi cenno di polemica, nonostante alle porte ci sia la super sfida con la Juventus e privilegiando la salute.
Soprattutto, bisogna riconsiderare il modello calcio ai tempi del Covid 19. E prendere coscienza del fatto che oggi lo spettacolo non può essere quello che abbiamo impresso nella mente e nel cuore. Gli stadi sono vuoti, l’adrenalina è calata, gli atleti non sono più semidei imperforabili e irraggiungibili. Se si vuole che lo spettacolo prosegua, dovremmo probabilmente e per ora accontentarci di un surrogato frutto di un compromesso. Come la vita attuale. Sarà un calcio in mascherina, senza esultanze caratterizzate da ammucchiate selvagge, senza calciatori patinati nei locali, ma ligi ad uno stile di comportamento più severo. Questo passa il convento in questo 2020: cedere alla voglia di normalità, può generare la fine anticipata dei giochi. Una misura estrema che probabilmente lo sport italiano non può permettersi. Ora occorre cautela, prontezza nel rimodulare i calendari in caso di qualche gara saltata ed estremo realismo. La magia tornerà in tempi migliori.

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