Sabato 06 Settembre 2025 | 18:41

Gli 80 anni di Antonio Matarrese: «La Bari non può escludere Bari»

 
alberto selvaggi

Reporter:

alberto selvaggi

Antonio Matarrese: «Anche Bari nella Bari»

Continua a produrre e a viaggiare con verve e humour immutati. Un mito della baresità

Lunedì 27 Luglio 2020, 12:25

19:07

Presidente Antonio Matarrese, ho notato che ancora oggi la gente per strada la chiama don Antonio, e non onorevole, titolo riservato a tanti.

«Quando passeggio per Bari sento il calore della gente perché mi ritengo e mi ritengono uno di loro, uno di famiglia, e questo è per me un magnifico segno di affetto e di stima. Poi si sa che non mi tiro mai indietro, parlare con la gente mi piace».

Il 4 luglio ha compiuto ottant’anni. Del suo passato si rimprovera qualcosa?

«Beh, in ottant’anni ho commesso molti errori, l’importante è riconoscere di averli commessi e non ripeterli più. Per esempio, l’aver fatto campagna elettorale per Simeone Di Cagno Abbrescia con quell’infelice risultato ancora non me lo perdono».

Ha perso Vincenzo e Giuseppe, il monsignore. Mi domando se adesso si sente solo.

«Indubbiamente sono state due perdite dolorosissime. Ma noi cristiani siamo confortati dall’idea che i cari che lasciano questa terra, in realtà non ci abbandonano. E poi, come saprà, ho un fratello di 88 anni, l’ingegnere Michele, ancora lucidissimo, l’ingegnere Amato, 78, in piena effervescenza aziendale, mia sorella Carmela che non si distacca mai da noi. E, superfluo sottolinearlo, ho una moglie che mi cura non soltanto come marito ma anche come un bambino. Per cui non mi sento solo».

Dalla Lega Calcio alla Figc, Uefa, Fifa, Hall of fame del calcio italiano nel 2018: una carriera coniugata con lo sport. Il pallone ha trainato la politica o è avvenuto il contrario?

«Io direi che c’è stata una simbiosi, ma devo riconoscere una certa prevalenza del calcio, che alla fine nella politica ha fatto invasione di campo».

Immagino un Tonino piccolo per strada che gioca al pallone.

«Ho giocato a pallone e anche a rametta. Preferivo il ruolo di centravanti ma soprattutto avevo la presunzione di dover essere il capitano della squadra».

E su questo, don Antonio, non ho dubbi. Lei e i fratelli siete ancora oggi sinonimo di Bari. Però venite da Andria.

«Ad Andria ho vissuto fino all’età di 13 anni e l’eredità che mi ha lasciato la mia città è la determinazione di un paese che non si arrendeva neanche di fronte alle difficoltà terribili. Come grande esempio di andriese porto mio padre Salvatore. Da semplice “scalpellino” è diventato uno dei più importanti costruttori della regione. All’indomani della nomina di Cavaliere del lavoro, ricevuta dal presidente della Repubblica a Bari in Prefettura, disse: “Dopo un figlio deputato e questo onore posso concludere felicemente la mia esistenza”».

Papà Salvatore, oggetto di venerazione familiare.

«Dice bene, davvero al limite della venerazione. Mio padre negli Anni ‘50 incominciava ad affermarsi come costruttore. In tempo breve realizzò 36 palazzine nel quartiere popolare CEP di Bari, cioè il San Paolo di oggi. E proprio in seguito a quest’opera decise di trasferirsi a Bari con la famiglia».

A proposito di trasferimenti: vivete ancora tutti voi Matarrese nel leggendario palazzo del quartiere Japigia?

«Mio padre, dotato di grande serietà e lungimiranza, ritenne saggio costruire quel “palazzo leggendario”, come lo chiama lei, di sette piani, destinando il primo a sé stesso e gli altri ai suoi sei figli. Ci diceva sempre: se un domani tra voi ci saranno dei contrasti, sarete così obbligati a incontrarvi nello stabile e quindi a ritrovarvi».

Fantastico.

«E sì. Per cui noi continuiamo, almeno per chi vive, ad abitare nello stesso palazzo».

Abbiamo un Bari napoletanizzato ma, se nota, tutti i monoliti cittadini, compresa via Sparano, stanno passando di mano. Come ha detto lei: «Più baresi nella Bari».

«È stato dimostrato che anche nelle più grandi società di calcio italiane la presenza di realtà cittadine è un fenomeno diffuso. Evidentemente la famiglia De Laurentiis non ritiene questa una necessità, oppure non ha riscontrato un interesse da parte dei nostri concittadini».

Dopo la sconfitta 1-0 contro la Reggiana e l’esclusione dalla serie B, secondo lei c’è chi rimpiange la «Bari dei baresi» matarresiana?

«Con i rimpianti non solo non si cresce ma anche se si dovesse crescere non si va lontano. Ogni storia calcistica ha avuto e avrà le sue pagine da leggere e da commentare».

Il glamour della Puglia, un tempo defilata, nacque dagli andriesi Matarrese e Lino Banfi. Ritrova qualche assonanza?

«Io sono molto amico di Banfi, ma direi che l’unica assonanza Lino non l’ha avuta con me, bensì con un mio fratello vescovo di Frascati, con il quale ha condiviso l’esperienza di seminarista a Molfetta».

Cavolo, questo particolare Banfi non me l’ha mai rivelato.

«E glielo dico io, così lo sa. Adesso mio fratello Giuseppe è in Cielo e Lino è ancora “raghezzo”, onora la nostra Puglia con la sua professionalità e la sua bontà d’animo».

Come le venne in mente di rilevare il Bari Calcio?

«Nel 1976, quando venne a mancare il grande medico e altrettanto grande presidente del Bari De Palo, io ero in vacanza in montagna. Appresi la notizia dalla radio. E dissi a me stesso: povero Bari, chissà in che mani finirà. E lo si è visto, difatti. Tuttavia l’ingresso della famiglia Matarrese nel Bari Calcio lo si deve anche alle pressioni di illustri concittadini come Michele Mincuzzi, l’avvocato penalista Aurelio Gironda…».

Massima ammirazione: un grande.

«E ancora, il notaio Michele Costantini, al quale si aggiunse uno dei più grandi esperti di calcio, Carlo Regalia, ancora brillantemente attento, lucido. Da lui ho imparato molto, come anche dall’indimenticabile segretario del Bari Filippo Nitti. Ero deputato della Dc e incominciò ad apparire sui giornali il nome Matarrese associato al Bari, i tifosi biancorossi si rivolgevano a me chiamandomi presidente, come hanno fatto con chi poi presidente in realtà non è mai diventato. Così entrai nel mondo del calcio che, onestamente, non conoscevo. Una realtà che ho governato con la fedele e significativa collaborazione del mio fraterno amico Michele Giura».

Il commercialista, consulente societario, revisore legale dei conti. Però, visto che ha evocato il fantasma della Balena Bianca: come passò da Aldo Moro, che per primo la candidò, alla compagine andreottiana?

«La mia vicinanza con Giulio Andreotti si sviluppò soprattutto per motivi calcistici: lui era un grande romanista. E stare accanto a un tale statista ha arricchito grandemente la mia vita anche nello sport».

E magari pure in attività edilizie. Già prima di Punta Perotti, nucleo della campagna elettorale di Michele Emiliano, vi accusavano di aver «palazzinato», voce del verbo «palazzinare».

«Ma palazzinato che cosa, Selvaggi? Che mi significa ‘sto palazzinare? La nostra impresa di costruzioni non è palazzinara e lo prova appunto il fatto che hanno abbattuto ciò che avevamo realizzato come se fosse il gioco del Lego».

Si può dire che dall’incenerimento di quella costruzione vista mare la storia dei Matarrese si sia complicata?

«Certo. La nostra come buona parte della storia di Bari. La città si è divisa. La città è rimasta attonita. Le criticità a seguito di tale abbattimento sono state rilevantissime nel nostro Gruppo, anche in una certa parte dell’economia barese e con pesanti riflessi sullo sviluppo del calcio a Bari nel suo momento più esaltante. La realtà e le verità di Punta Perotti devono venire ancora alla luce. Le profonde amarezze devono ancora essere sopite».

Nel ‘99 alle elezioni provinciali e nel 2004 alle europee non le è andata bene come in passato. Ho l’impressione che si senta tradito da quegli stessi baresi che in altre occasioni la esaltavano.

«In un rapporto di così lungo respiro con Bari ci sono stati momenti di gratitudine e di ingratitudine reciproca».

Tuttavia, don Antonio, fra i «Viva Matarrese!» e gli «Abbasso i Matarrese» con corteo ultras, la cosa indubitabile è che lei, con i suoi fratelli, la storia l’ha fatta. Vorrei sentirle dire che ne è soddisfatto.

«Sì, certo che lo sono, e sono profondamente orgoglioso non solo della mia storia ma anche di quella di tutta la grande famiglia Matarrese che, unita alla famiglia del senatore e cognato Mario Greco, hanno profuso e profondono il loro impegno affinché il nome Matarrese rimanga integro nella storia di Bari. Si ricorda che disse Berlusconi di noi?».

Cioè, parla dell’ibernato immortale? Sì me lo ricordo: «Matarrese significa Bari e Bari significa Matarrese».

«Bravo, vede che funziona la capa? Quindi, la storia può continuare».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)