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Vescovi pugliesi e lucani divisi sul Dpcm: le reazioni

Vescovi pugliesi e lucani divisi sul Dpcm: le reazioni

 
Marisa Ingrosso

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Marisa Ingrosso

a comunione presenta un forte rischio di contagio

Mons. Moscone: stop polemiche. Mons. Seccia e Ligorio: libera Chiesa. Mons. Cacucci tace. «Il rischio non è la perdita del Credo. Il rischio è di perdere i credenti»

Martedì 28 Aprile 2020, 13:07

15:01

Vuoi che le aspettative fossero altre, vuoi per la forma (nel decreto del governo l’esercizio del culto è nel comma delle sale bingo), vuoi soprattutto per la sostanza (vietare la messa impatta con l’articolo 19 della Costituzione che sancisce il diritto di ciascuno di professare liberamente la propria fede religiosa, in privato o in pubblico), di certo c’è che l’ultimo Dpcm ha registrato una reazione violenta della Conferenza episcopale italiana (Cei). E, forse, proprio per la severità di alcuni termini scelti dall’assemblea permanente dei vescovi italiani, presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti (con la Chiesa che non chiede, ma «nella pienezza della propria autonomia», la «Chiesa – scrive la Cei - esige di poter riprendere la propria azione pastorale»), forse perché i rischi sanitari di questo virus ancora sconosciuto sono dannatamente concreti, i vescovi di Puglia e Basilicata esprimono una varietà di posizioni.

Alcuni, come mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, non hanno voluto rilasciare dichiarazioni a La Gazzetta del Mezzogiorno. Mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, in una nota afferma: «Sento di condividere il rammarico espresso dalla Conferenza episcopale italiana dopo l’illustrazione del premier Giuseppe Conte della cosiddetta fase 2 della gestione di questa pandemia, misure quelle annunciate che limitano oltremodo la libertà di culto».

«La Chiesa - aggiunge - trae la sua forza, il suo sostegno dall’ascolto della Parola di Dio e dalla condivisione sacramentale del Pane eucaristico. Motivazione ed amore per l’assistenza ai deboli, ai poveri, vengono da quella fonte. Dalla stessa sorgente nasce tutta quella rete sterminata di solidarietà che abbiamo visto prendere forma in queste ultime settimane da parte di tutte le nostre comunità parrocchiali».

I vescovi «si fanno semplicemente portavoce - afferma mons. Santoro - di una “fame” che il popolo ha dei sacramenti, della santa messa. Le celebrazioni in streaming, che pur aiutano a sentire la vicinanza, il calore spirituale nella prova, non potranno mai sostituirsi all’esperienza diretta, personale e comunitaria. Abbiamo sentito la privazione vitale in maniera più acuta in questa ultima Pasqua che non potremo mai più dimenticare. Ho fiducia nell’interlocuzione in atto che possa permettere una revisione dei protocolli (come è stato possibile dopo il primo Dpcm che ha visto il dietrofront rispetto alla chiusura dei tabaccai e dei supermercati)».

Per mons. Michele Seccia, vescovo di Lecce, «si sta fraintendendo un po’ questo discorso e la Cei lo ha chiarito. Se nelle chiese vengono rispettate le distanze, con persone che non fanno assembramento e stanno distribuite nei banchi, per esempio a zigzag, perché non dovrebbe essere possibile? Molti parroci stanno mettendo anche le mascherine a disposizione». «Stiamo attenti – ammonisce - Sennò la libertà individuale va a farsi benedire. Io devo rispettare le disposizioni ma se poi devo essere costretto a non fare, allora andiamoci piano». «Molti parroci – sostiene - hanno frainteso e hanno chiuso le chiese. Allora la gente che va al mercato e desidera entrare a pregare un momento non lo può fare? Io ho raccomandato di lasciarle aperte, sempre. Condivido le cautele e di evitare assembramenti. Ma anche nel comunicare cerchiamo di comunicare bene e mettere in pratica “cum grano salis” perché se arriviamo al radicalismo allora nessuno deve uscire più di casa. Allora chiudiamo tutto e aspettiamo. Quindi, il rispetto delle regole senz’altro, ma con senso di responsabilità». Tenere i fedeli distanti in chiesa vuol dire che non tutti potranno entrare? «Se possono entrare al massimo 20-30 persone, quando arrivano altri vorrà dire che la chiesa la trovano chiusa. Guardi che molti parroci si sono attrezzati con delle riprese, con dei canali privati di trasmissione o con le televisioni locali che trasmettono la messa. Già oggi, a tutti gli orari, è possibile trovare messe in tv. Quindi chi desidera... Poi, in tempo normale, non abbiamo più di 10-20 persone a messa feriale. A maggio c’è maggiore affluenza? Sarà il parroco, con i suoi collaboratori, a fare una regolazione del flusso, ma flusso non ci sarà perché questa paura di pandemia già sta condizionando le persone e, allora, se uno munito di maschera viene in chiesa, perché devo proibirlo? Il parroco sa quali e quanti sono quelli assidui alla messa feriale. Mo’ sembra che tutti vadano a messa. Credo che dovremmo avere senso pratico e lo dico per i sacerdoti ma anche per quelli che danno le norme».

«Noi siamo disponibili a un dialogo costruttivo – dice mons. Salvatore Ligorio, arcivescovo di Potenza, Muro Lucano, Marsico Nuovo - ma sulle scelte della Chiesa spetta a noi. Loro (il Governo; ndr) possono dirci le distanze e quali misure prendere, ma se celebrare i funerali è un diritto della Chiesa punto e basta». Aumentare il numero delle messe? «Da noi – dice - le cattedrali sono piuttosto grandi e, quando si danno le indicazioni, anziché una sola messa ne possiamo celebrare due o tre. Qualche messa in più si può fare per consentire a tutti i fedeli di partecipare alla Santa Eucarestia. Tutto è superabile».

Mons. Franco Moscone, da arcivescovo di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo è abituato a gestire enormi flussi di persone ma, per il momento, di pellegrini non vuol parlare. «Al massimo – dice - potremmo raccogliere i soli fedeli della città. Il ritorno dei pellegrinaggi, a una forma particolare di devozione, sarà qualcosa di molto più delicato da ricostruire. La messa è un aspetto senza dubbio importante, dal punto di vista del culto il più importante della vita cristiana, ma è un aspetto».
«Io – dice mons. Moscone - non mi aspettavo che il premier dicesse che dal 4 si riaprisse. Mi aspettavo ciò che è stato detto: una sorta di apertura solidale per i funerali, che sono un momento particolare, soprattutto adesso con l’epidemia e, quindi, ricostruire un momento di maggiore elaborazione di questo momento che non necessariamente richiede la messa, ma un culto più vicino ai familiari e, forse, c’è la possibilità dell’Eucarestia». «Credo che vadano verificate le modalità per garantire la sicurezza - chiarisce - Il rischio non è la perdita del Credo, il rischio è di perdere i credenti, muoiono anche coloro che credono, soprattutto alcune fasce di età».

«Ci vuole rispetto e collaborazione tra le istituzioni, a me è sembrato che finora ci sia stata. Poi, magari, qualcuno si sarà aspettato di più, un’apertura più ampia. Il comunicato – dice il vescovo - mi è parso non del tutto ben pensato, forse dovuto a una esagerazione del momento, a una delusione perché si aspettava qualcosina in più, ma credo che non debba essere fatta polemica e riprendere la collaborazione e il dialogo per il bene della Chiesa e della società».

«La Chiesa – conclude - ha collaborato finora e non da poco. Penso alle tante iniziative caritative e solidali che sono notevolmente cresciute, più che raddoppiate rispetto a quanto si faceva. La chiesa è non solo culto, ma anche carità e comunione e questo certamente non è mancato».

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