BARI - In dieci anni la Puglia ha perso 32mila lavoratori edili. Quasi tre volte il numero di operai legati all’attività dell’ex Ilva di Taranto. Ma la notizia non ha fatto rumore più di tanto, se si esclude la protesta dei sindacati. Così come in pochi si sono accorti della scomparsa di 4mila imprese del settore e di una diminuzione dei salari pari a 12 milioni di euro. Ancora: 27mila iscritti in meno alla Cassa edile che, tradotto in termini in salariali, significa meno 190 milioni di euro l’anno.«C’è un’intera generazione tagliata fuori dal mercato del lavoro in edilizia», dicono gli esperti.
I dati disponibili raccontano meglio il lato oscuro della crisi che ha colpito il settore delle costruzioni nella nostra regione, nonostante l’aggiornamento congiunturale della Banca d’Italia parli, per i primi nove mesi del 2019, di «segnali di stabilizzazione». La Svimez, però, non la vede così. Nell’ultimo rapporto annuncia un + 4,4 per cento nel settore delle costruzioni, comunque un segmento molto importante per il sistema economico pugliese, quantificato nel 9,6 per cento del Pil, contro l’8,1 per cento dell’Italia. Anche se il numero di addetti da un anno all’altro è diminuito del 4,3 per cento: ora gli addetti sono 76mila.
Parlando con esperti e addetti ai lavori, emerge una mappa della Puglia a macchia di leopardo. L’unico raggio di sole è rappresentato dalla situazione di Bari: «Qui si sta muovendo qualcosa legato al Piano casa - anche se lo strumento urbanistico deve ancora decollare completamente - e ad una serie di opere pubbliche che si stanno realizzando, soprattutto nel campo dei collegamenti ferroviari», ricorda Silvano Penna, segretario generale della Fillea Cgil. «Ma nel resto della regione c’è poco da sorridere. Penso a Taranto, dove c’è la necessità di un piano di rigenerazione urbana e sono disponibili anche i finanziamenti. Mentre su Brindisi non si muove nulla. La Cassa edile registra appena 2mila iscritti, le imprese scappano via, non é chiaro come si vuole affrontare il processo di decarbonizzazione della centrale Enel, la portualità è ferma, in stato di abbandono. Aggiungiamo la criticità della Capitanata con le infiltrazioni della malavita. Insomma, un quadro a tinte cupe».
La Puglia che costruisce non è solo mattone. Ci sono le opere pubbliche. Quarantuno quelle incompiute, iniziate e non ancora terminate, a fine 2018 (ultimi dati disponibili). Ventidue in meno ma nove nuove rispetto alle 54 di fine 2017 e meno della metà rispetto alle 87 incompiute del 2016. A fronte del calo delle opere incompiute si assiste però, spiega l'Ance, alla crescita sia del fabbisogno stimato per il completamento dei lavori (+25%, da 58,3 a 72,8 milioni) che dell'investimento pubblico al momento bloccato (+17%, dagli 82,9 milioni di fine 2017 a 97,3). Un incremento, questo, dovuto all'inserimento nell'elenco dell'anagrafe delle Opere incompiute del Ministero delle Infrastrutture del palazzo Uffici di Taranto (quasi 37 milioni di euro di cui 26 necessari per il completamento) per il quale, comunque, sono nel frattempo iniziati i lavori di messa in sicurezza. Analizzando al situazione provincia per provincia: si scopre così che il triste primato spetta a Foggia, con 16 cantieri da riaprire, sebbene il numero rispetto all'anno prima sia sceso di un terzo (erano 24). Al secondo posto, Lecce e Taranto con otto incompiute a testa (erano 6 a Lecce, 9 a Taranto). Bari passa dalle 9 del 2017 alle 6 del 2018 e Brindisi dimezza le incompiute passando da 6 a 3. La Bat è dal 2017 l'unica provincia pugliese che non presenta opere incompiute (erano tre a fine 2016).
Incalza Penna. «Sono stati finanziati un miliardo e 200 milioni per sbloccare la situazione. Penso ad opere strategiche come la statale 275 Maglie-Leuca, la strada Bradanico-salentina, la viabilità Garganica. Oggi i collegamenti sono vitali. Prendiamo l’alta velocità su ferrovia che si ferma da un alto a Roma, dall’altro ad Ancona. Prendiamo il raddoppio della Termoli-Lesina. Si può ancora polemizzare dopo trent’anni?».
Insomma, non è solo colpa della burocrazia. Anzi. La burocrazia diventa, spesso, il paravento ideale dietro il quale nascondersi o sul quale scaricare di tutto. Negli uffici tecnici comunali, col blocco del turnover, mancano ingegneri, architetti e geometri. Mancano, cioè, le competenze e, quindi, chi si assume la responsabilità di preparare e di firmare un bando di gara. Inevitabilmente, la locomotiva dello sviluppo si arresta.