FOGGIA - Due simboli, due verità contrastanti, sullo sfondo una storia di pizzo con nomi “eccellenti” della “Società foggiana”. Da una parte il racconto di Lazzaro D’Auria (nella foto al centro), classe ’66, imprenditore agricolo campano con interessi a Foggia e provincia, da 7 anni “sottoposto a protezione di terzo livello rafforzata con auto blindata e 3 carabinieri a bordo”, emblema della ribellione al racket nella terra della quarta mafia, da anni in prima fila a invitare le vittime a non abbassare la testa, a non subite i ricatti: nel 2016 denunciò i clan per una richiesta di pizzo di 200mila euro e seguita da 2 anni di minacce e intimidazioni, facendo arrestare e condannare in via definitiva 5 persone, a cominciare da Rocco Moretti, classe ’50, il nome più noto della “Società foggiana” cui sono stati inflitti 4 anni e 8 mesi.
Dall’altra parte c’è la versione di Giuseppe Francavilla (nella foto vicino al titolo), classe ’78, detto “il capellone”, per vent’anni ai vertici del clan Sinesi/Francavilla gestendo estorsioni e cassa, simbolo della vittoria dello Stato sull’antistato: sommerso da condanne ha accettato la sconfitta, diventando il più importante pentito dei 15 sfornati dalla “Società” dal ’92 a oggi: dal 31 gennaio 2024 collabora con la Giustizia. Quella Giustizia cui Francavilla ha raccontato che D’Auria chiese aiuto ai clan perché sloggiassero gli abusivi (il pentito sostiene d’aver ordinato a suoi uomini di sparare contro gli agricoltori perché liberassero i suoli) che occupavano i 197 ettari di terreni comunale a borgo Incoronata del costo di 3 milioni 600mila euro da lui acquistati, impegnandosi a versare a esponenti dei clan Sinesi/Francavilla e Moretti 200mila euro e una decina degli ettari acquistati.
Ecco le due contrastanti verità di vittima e pentito nel processo in corso a Foggia da 5 anni a Giovanni Putignano, classe ’78, di Torremaggiore, imputato di concorso in tentata estorsione da 200mila euro; difeso dagli avv. Francesco Santangelo e Andrea Imparato, respinge le accuse. D’Auria l’ha indicato come una delle decine di persone - tra cui il capo-clan Moretti e il pari grado sanseverese Giuseppe La Piccirella, condannato a 3 anni, 6 mesi e 20 giorni – che nel luglio 2017 lo minacciarono nelle campagne di Apricena.
All’epoca dell’incontro in campagna D’Auria era minacciato giàda 18 mesi anni con richiesta di pizzo di 200mila euro una tantum, somma pretesa dopo il suo rifiuto alla richiesta dei clan di non acquistare i terreni a borgo Incoronata. “Mi vennero vicino Moretti e il signor La Piccirella” la testimonianza in aula della vittima “con cui si iniziò un dibattito sulla somma da pagare, 200mila euro: dopo un bel po’ di trattative io cercavo di uscirmene con 20/30mila euro, pure 40mila avrei ceduto: come tutti gli imprenditori, e avrei continuato una vita normale. Invece no, il signor Moretti sembrava voler accettare una cifra di transito tra 150mila e 30mila, ma intervenne il signor La Piccirella e disse: ‘no, tu ci devi dare 150mila euro l’anno perché nessuno ti ha mai rotto le scatole; siamo 5 famiglie e ci devi dare 30mila euro a testa’. Risposi: ‘vi do 50mila euro, fate 10mila euro a testa, pure buono è’. Niente da fare. Dissero: ‘ricordati che qui sono scomparse un sacco di persone, come sono scomparsi gli altri possono scomparire anche le persone vicino a te. Mi raccomando non andare dai carabinieri; hai visto che fine ha fatto il tuo amico Lombardozzi’”. Matteo Lombardozzi, sanseverese in semilibertà, dipendente di D’Auria che cercò di convincere gli estorsori che l’imprenditore non avesse tutti i soldi pretesi, fu ucciso il 14 luglio 2017 sulla Foggia-San Severo in un agguato di mafia rimasto impunito.
All’epoca delle minacce del luglio 2017, Francavilla si era già defilato dalla vicenda stando al suo racconto. “A primavera 2016 avemmo un incontro con D’Auria in un locale di via Telesforo: non so se venne lui da noi o andammo noi da lui. C’eravamo io, Rocco Moretti e altre 3 persone: chiamarono anche me perché in quel momento chi decideva sulle estorsioni eravamo io e Moretti. D’Auria aveva acquistato i terreni sui quali c’erano persone che vi lavoravano da anni, li coltivavano e li usurpavano: D’Auria interpellò noi per far sì che queste persone lasciassero i terreni, e lui entrasse nella sua proprietà. Facemmo un accordo di 200mila euro, di cui 100mila al mio gruppo, e una decina di ettari che dovevamo coltivare noi, ma non si è mai arrivati alla fase esecutiva di cui si sarebbe ragionato in un secondo momento. Questa cosa infatti non fu più seguita da me perché iniziarono un po’ di casini”, riferito alla nuova guerra tra i clan Sinesi/Francavilla e i Moretti; “al mio posto subentrarono i sanseveresi”, cioè il clan La Piccirella, “e furono fatti un po’ di atti intimidatori verso D’Auria. Io feci liberare i terreni, ordinando a uomini della mia batteria di eseguire attentati contro gli agricoltori: non ricordo se vennero sparati vicino a un container”.
D’Auria racconta che l’incontro in via Telesforo con Moretti e altre persone “non fu casuale ma programmato e organizzato da Mimmo Valentini” (condannato a 2 anni e 8 mesi per questa vicenda, morto suicida in carcere il 21 aprile 2021 quand’era detenuto per il blitz “Decimabis”); smentisce qualsiasi sua richiesta ai clan; esclude che fu in conseguenza degli avvertimenti mafiosi che i terreni furono liberati. “Gli occupanti non se ne andarono volontariamente, intervennero le forze dell’ordine: ci volle più di un anno per ottenere lo sgombero”. Non denunciò subito l’incontro con Moretti della primavera 2016 ma lo fece nel giugno successivo quando tre sconosciuti armati lo minacciarono e schiaffeggiarono, “per paura: poi li ho denunciati tutti gli episodi estorsivi”. Due simboli, due verità contrastanti.