FOGGIA - Due pregiudicati di Vieste, ritenuti affiliati al clan di Girolamo Perna, sono stati arrestati per il tentativo di omicidio del boss rivale Marco Raduano. L’agguato, fallito, fu compiuto il 21 marzo 2018 nella città garganica.
In manette sono finiti due cugini Claudio e Giovanni Iannoli, considerati elementi di spicco della consorteria criminale e si trovano attualmente ristretti presso il carcere di Terni il primo e quello di Siracusa il secondo a seguito dell’operazione “Agosto di Fuoco” eseguita dalla Polizia di Stato nel mese di agosto del 2018. L’operazione odierna, denominata “Scacco al Re", è il risultato di una lunga ed articolata attività d’indagine, protrattasi per oltre un anno, condotta sinergicamente dai reparti investigativi di Carabinieri e Polizia di Stato e coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari – Direzione Distrettuale Antimafia, a seguito del tentato omicidio del boss viestano Raduano, detto “pallone”, avvenuto a Vieste la sera del 21 marzo 2018. Intorno alle 20.00 di quel giorno alcune telefonate giunte al numero di pubblica emergenza 112 avevano segnalato ai carabinieri una persona a terra, ferita a colpi di arma da fuoco in contrada Scialara.
Secondo quanto scoperto nel corso delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari che, questa mattina, hanno portato il personale del Servizio Centrale Operativo, delle Squadre mobili di Bari e Foggia ed i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Foggia e del ROS, i due rispettivamente di 43 e 33 anni, sono entrambi appartenenti al gruppo criminale già capeggiato da Girolamo Perna, morto lo scorso 26 aprile a seguito di un agguato di chiaro stampo mafioso.
Gli inquirenti ritengono che il tentato omicidio di Raduano sia stata una vendetta organizzata dal capoclan Girolamo Perna ucciso, a sua volta, lo scorso 26 aprile sotto la sua abitazione. Questi fatti di sangue si inseriscono nella sanguinosa 'guerra' di mafia in corso a Vieste dove i clan rivali si contendono il controllo dei traffici illeciti. Nell’ambito della faida, dal 2015 ad oggi, ci sono stati dieci omicidi e un caso di lupara bianca. Gli arresti sono stati eseguiti da polizia e carabinieri su disposizione della magistratura barese.
I DETTAGLI DELLA CONFERENZA STAMPA - Volevano compiere una carneficina uccidendo in un colpo solo i tre presunti esponenti di spicco del gruppo mafioso rivale dei Raduano. Progettavano di ammazzarli nei vicoli di Vieste (Foggia), durante l’estate 2018, quando la città si riempie di turisti, mettendo così a rischio la vita di innocenti. Il piano sarebbe poi sfumato a causa degli arresti eseguiti nell’agosto scorso dalla Polizia. È uno dei particolari che emergono dalle indagini della Dda di Bari sul tentato omicidio del boss Marco Raduano, compiuto il 21 marzo 2018, che oggi hanno portato all’arresto dei cugini Giovanni e Claudio Iannoli, viestani di 33 e 43 anni, ritenuti vicini al clan Perna, in guerra con i Raduano per il controllo dei traffici illeciti in città. L’operazione di Polizia e Carabinieri, coordinata dalla Dda di Bari - dal procuratore aggiunto Francesco Giannella e dai pm Giuseppe Gatti, Ettore Cardinali e Luciana Silvestri - è stata ribattezzata 'Scacco al Re' e si inserisce nelle indagini sui nove omicidi di mafia e sugli altri tentati omicidi compiuti negli ultimi tre anni a Vieste.
Tre di questi agguati sono stati commessi in una data che gli inquirenti della Dda definiscono «evocativa» e «strana per essere una semplice coincidenza": il 21 marzo, primo giorno di primavera e data scelta dall’associazione Libera per ricordare le vittime di mafia. In quella data «anziché celebrare la vita - ha detto il procuratore Giuseppe Volpe - la mafia celebra la morte». Dopo l’agguato fallito del 21 marzo 2018 in cui Marco Raduano era rimasto ferito, i cugini Iannoli «evidenziano il proposito di porre fine alla guerra con l’eliminazione di almeno tre esponenti rivali» spiegano gli inquirenti riferendo il contenuto di alcune intercettazioni, pianificando «un agguato per ucciderli contemporaneamente, in un periodo, quello estivo, in cui Vieste è piena di turisti». «Li devi acchiappare a tutti e tre insieme, - dice Gianni Iannoli in una conversazione - sarebbe un prosciutto proprio, tutti e tre insieme sono crudo e mozzarella».
LE CONFESSIONI DEL KILLER ALLA MADRE - Si confidava con la madre, rivelando dettagli degli agguati che commetteva, il sicario del clan Perna di Vieste, Gianni Iannoli, arrestato oggi su disposizione della magistratura barese per il tentato omicidio del boss Marco Raduano del 21 marzo 2018. La madre, però, lo rimproverava chiedendogli perché si fosse «impelagato in questa immondizia», "in questa merda di cosa». Il ruolo della mamma del pregiudicato emerge dalle intercettazioni ambientali captate dagli inquirenti della Dda in casa di Gianni Iannoli. «I figli alle mamme dicono tutte cose» dice la donna al 33enne che le stava raccontando dell’agguato fatto a Raduano, scampato alla morte perché «si è bloccato il fucile» spiega l’uomo.
Gianni Iannoli rivela alla madre anche i nuovi ruoli criminali in città: «prima non c'entravo niente io nei fatti loro, mo mi sono messo in mezzo» e ancora «prima comandava Marco (Raduano, ndr), gli ho sparato. Mo voglio comandare io. Non è morto e siamo rivali». «La speranza - dice la pm della Dda di Bari Luciana Silvestris che ha coordinato le indagini - è che ci possa essere una collaborazione, una risposta del territorio a partire dagli stessi parenti di fronte a gravi fatti di reato. Le indagini continueranno e chi ha elementi - dice quasi a voler lanciare un appello - questo è il momento di rappresentarli compiutamente». «Il terrore e la ferocia con cui si manifesta la criminalità organizzata garganica e del territorio del foggiano - ha detto il procuratore aggiunto Francesco Giannella - non devono portare la gente a credere che si tratti di fenomeni criminali connotati dalla invincibilità. Non sono invincibili. Il lavoro dei Carabinieri e della Polizia lo dimostra». «Certo - aggiunge - con la collaborazione della gente il lavoro potrebbe essere più rapido e darebbe un segnale di partecipazione della società ad azioni di legalità che faticosamente facciamo».
«La speranza - dice la pm della Dda di Bari Luciana Silvestris che ha coordinato le indagini - è che ci possa essere una collaborazione, una risposta del territorio a partire dagli stessi parenti di fronte a gravi fatti di reato. Le indagini continueranno e chi ha elementi - dice quasi a voler lanciare un appello - questo è il momento di rappresentarli compiutamente». «Il terrore e la ferocia con cui si manifesta la criminalità organizzata garganica e del territorio del foggiano - ha detto il procuratore aggiunto Francesco Giannella - non devono portare la gente a credere che si tratti di fenomeni criminali connotati dalla invincibilità. Non sono invincibili. Il lavoro dei Carabinieri e della Polizia lo dimostra». «Certo - aggiunge - con la collaborazione della gente il lavoro potrebbe essere più rapido e darebbe un segnale di partecipazione della società ad azioni di legalità che faticosamente facciamo».