Martedì 18 Novembre 2025 | 15:28

Mobilità sanitaria, il sistema ha bisogno di nuovi equilibri

Mobilità sanitaria, il sistema ha bisogno di nuovi equilibri

 
Francesco Caroli

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Francesco Caroli

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Per anni con la mobilità sanitaria ogni prestazione «da fuori regione» significava maggiori entrate, reputazione e sviluppo economico per tutto l’ecosistema regionale. Oggi, però, l’equilibrio si è incrinato.

Martedì 18 Novembre 2025, 13:11

Non è facile conciliare il successo di un sistema sanitario con il peso crescente delle sue stesse eccellenze. È quanto accade oggi in Emilia-Romagna, dove la qualità dei servizi ha reso la regione una delle mete più attrattive per i pazienti provenienti da tutta Italia.

Un fenomeno che, se da un lato conferma la forza del modello emiliano, dall’altro pone seri problemi di sostenibilità legati alla carenza di personale. È utile ricordare che ogni prestazione sanitaria erogata a un cittadino non residente viene poi rimborsata dalla sua Regione di provenienza a quella che l’ha effettuata, secondo le tariffe nazionali (DRG). La mobilità sanitaria genera così flussi economici importanti, che nel tempo hanno rafforzato i sistemi più attrattivi del Nord, ma oggi rischiano di diventare anche un fattore di pressione.«Non ce la facciamo più, c’è un’enorme pressione di quelli che da fuori regione si vengono a curare, continuano ad aumentare, intasando il sistema sanitario regionale» ha dichiarato Michele De Pascale, presidente della Regione Emilia-Romagna, in un’intervista a «Il Fatto Quotidiano» (7 novembre 2025).

Parole che suonano come un campanello d’allarme: l’Emilia-Romagna, simbolo di efficienza e apertura, oggi denuncia la fatica di un modello che il Paese ha lasciato solo a reggere il peso delle proprie contraddizioni. Nel 2022 l’Emilia-Romagna ha erogato prestazioni per oltre 806 milioni di euro a pazienti non residenti, a fronte di circa 280 milioni spesi dai propri cittadini fuori regione (Fondazione GIMBE, «Mobilità Sanitaria 2022»). Secondo il report, le province romagnole - Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini - registrano un saldo positivo di mobilità in entrata, dovuto in gran parte a pazienti provenienti da Marche e Toscana, soprattutto per prestazioni programmabili, segno di una mobilità di prossimità legata a tempi d’attesa più brevi.

Come osserva Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, questa dinamica nel suo complesso, evidenzia profonde disuguaglianze territoriali, con un costante trasferimento di risorse dalle regioni meridionali a quelle settentrionali.

Per anni la mobilità sanitaria è stata considerata un segno di efficienza: ogni prestazione «da fuori regione» significava maggiori entrate, reputazione e sviluppo economico per tutto l’ecosistema regionale. Oggi, però, l’equilibrio si è incrinato. Il problema non sono i pazienti, ma la carenza di medici e personale sanitario, che colpisce ormai tutte le regioni, anche le più virtuose. E non è colpa dei confini: per anni, governi di ogni colore hanno sottovalutato la programmazione, riducendo borse di studio e posti universitari, sottopagando i professionisti e svuotando progressivamente la macchina sanitaria.

Dietro ogni paziente «da fuori regione» non c’è un numero che pesa sui conti, ma una persona che cerca una cura o, in alcuni drammatici casi, una speranza. C’è chi parte di notte da Taranto per una visita a Forlì, chi attraversa l’Appennino per un intervento a Bologna, chi affronta viaggi e spese nella speranza di essere curato. Limitare questi movimenti non risolverebbe il problema, perché - come ricorda l’articolo 32 della Costituzione - il diritto alla salute è universale, non territoriale.

La pressione sui servizi, dunque, non è «colpa» dei pazienti che arrivano, ma del progressivo impoverimento del personale e di un Servizio sanitario nazionale disegnato decenni fa, ormai inadeguato alle sfide attuali.

Dall’Emilia-Romagna, che resta una regione modello, e dall’intero panorama politico - a partire da quello progressista - ci si aspetta finalmente una risposta di sistema: una proposta di riforma strutturale del SSN che restituisca equilibrio, equità e risorse a un bene comune che non può permettersi di crollare, né al Nord né al Sud. Occorre fare presto.

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